Miyazaki Hayao è un grande fabbricante di distopie: distopico è l’universo di Princess Mononoke, assediato dalla rabbia cancerogena di uomini e fiere, distopica è l’Aburaya di Chihiro, la Città incantata in cui ogni adolescente si ritrova prigioniero. Distopico è il microcosmo post-apocalittico di Nausicaä, l’eroina che, nel lontano 1984, condusse il regista verso la propria Itaca cinematografica – ovvero lo Studio Ghibli, fondato l’anno successivo a Tokyo. Sì, perché le radici della cosiddetta Valle del Vento affondano giustappunto nell’omonimo fumetto pubblicato sulla rivista Animage nel lungo e travagliato decennio che intercorre fra il 1982 e il 1994. È il tempo dell’epilogo: epilogo della guerra fredda, epilogo di un immaginario collettivo ancora profondamento scosso dai traumi del secondo conflitto mondiale. È il tempo dei bilanci e, con essi, delle temerarie aspettative che schiudono le porte al terzo millennio. È, in breve, tempo di rapire l’omerica Nausicaa dall’Isola dei Feaci e trasportarla verso altre sponde – in questo caso, nell’ecosistema devastato di una terra sì reduce da una terribile guerra atomica, ma anche rimpatriata al suo stato di grazia primigenia.
La pellicola si apre sulle rovine di un futuro precario dai contorni medievaleggianti: il nostro pianeta è ridotto ad un deserto oscuro in cui troneggiano soltanto morte e relitti. La civiltà sta ancora scontando le conseguenze di un’agghiacciante piaga nota ai più con il sinistro epiteto de I sette giorni di fuoco. Che cosa sia successo nella settimana in cui l’umanità smise di essere tale, rimane per lo più un mistero, un tabù a cui si fa riferimento per vie traverse. Miyazaki parla il linguaggio visionario di chi, la fine del mondo, l’ha già vissuta: nel passato mai passato messo in scena dall’autore, l’ecosistema terrestre fu vittima di giganteschi automi plasmati dalla modernità per annichilire sé stessa (senza esserne completamente consapevole). Composti di materia organica e dotati di raggi termonucleari, i Moloch del Maestro giapponese racchiudono nella loro effigie ogni bruttura storica da noi tutti esperita – la mente viaggia, suo malgrado, verso il Waste Land di Hiroshima e Nagasaki.
Un enorme oceano nero è quel che resta degli antichi fasti: il “mar marcio”, popolato di insetti dalle pantagrueliche dimensioni, si estende ogni giorno che passa, cancellando le vecchie carcasse di un vecchio tempo a cui nessuno vorrebbe più pensare. I pochi superstiti vivono immersi in un terrore atavico, combattendo fra loro e contro il pianeta divenuto estraneo e ostile. Sappiate, insomma, che George Miller, con il suo (giustamente) acclamatissimo Mad Max – Fury Road (2015), non ha inventato nulla. Ma le distopie di Miyazaki sono diverse, perché conservano la bellezza anche nell’ultimo girone degli inferi, quasi recitassero il dogma dantesco al contrario: Serbate ogni speranza, o voi ch’entrate.
E infatti, la speranza è qui rappresentata dalla Valle del Vento, un’oasi bucolica alle pendici del mar marcio in cui l’esistenza ha coraggiosamente mantenuto la purezza e l’innocenza originarie. Sovrana e protettrice dell’idillio non può che essere Nausicaä – e sì, il regista si riferisce niente meno che alla Nausicaa di Ulisse, figlia di Re consacratasi alla cura del prossimo, personificazione dell’amore incondizionato verso l’amore stesso, nonché dell’ospitalità in quanto corpo e spirito della più civile fra le civiltà umane (quella greca).
Ma Nausicaä è anche Mushi mezuru himegimi, ovvero La principessa che amava gli insetti, protagonista di una fiaba giapponese per bambini incontrata, forse, durante la prima infanzia. A lei, dunque, l’autore affida l’arduo incarico di riportare ordine nel caos, ripristinando un ponte comunicativo con una terra che, proprio attraverso l’oceano della morte, si sta ripulendo dalle turpitudini e dalle mostruosità belliche. Non è un caso che la nobile regina riesca a decifrare l’oscuro alfabeto delle colossali blatte che infestano il mar marcio: così, i parassiti smettono di essere parassiti, riacquistando ai nostri occhi la perduta dignità di legittimi abitanti – se non coinquilini.
Nausicaä è la più virtuosa fra tutte le eroine di Miyazaki: più impetuosa di Mononoke-San, più intraprendente di Chihiro, più zelante dell’anziana Sophie avventuratasi nel bizzarro Castello errante di Howl – ma a quest’ultima ritorneremo fra qualche tempo. Ciò non vuol dire che l’animo di Nausicaä non possieda lati ombratili, anche lei è umana ma, a differenza degli altri personaggi, sa scegliere per sé e per il bene di chi la circonda. Il suo cammino è un cammino di redenzione individuale e universale, una lunga (per l‘appunto) Odissea attraverso la malattia e le sue innumerevoli sfaccettature: la paura che genera rancore (un tema caro a Princess Mononoke), la viscosa bile della rabbia che sfigura il bel volto della madre terra, la brama di possesso che fa languire senza mai saziare, l’egoismo e l’astuzia del già citato fine che giustifica i mezzi. Quando una nave straniera irrompe nell’incontaminato reame di Nausicaä, trascinando l’idillio nel mortifero presente e cancellando il vento dalla Valle del Vento, la giovane si lascia travolgere da un’ira funesta che la porta a trucidare i suoi nemici, per poi disperarsene: “Io ho paura di me stessa! Io non voglio, ma sento il mio cuore che ribolle d’odio! Io non voglio soffrire, né far soffrire!” Non esiste dichiarazione più umana di questa.
Ed è proprio tale umanità imperfetta e messianica a costituire il fulcro dell’intero lungometraggio: dispersa fra le velenose e melanconiche scenografie di Hideaki Anno (Neon Genesis Evangelion), il mondo ha perso la strada maestra ma non la speranza di riapprodare, presto o tardi, nella sua perduta Itaca. Come Ulisse sull’Isola dei Feaci, la civiltà illustrata da Miyazaki si è semplicemente smarrita e necessita di una guida, o meglio: di un po’ di misericordia. Compito di Nausicaä sarà infatti quello di fornire assistenza ai naufraghi (tutti: uomini, insetti, animali), accompagnandoli verso correnti più amiche. S’alza il vento è anche il titolo della monumentale opera con cui il Maestro nipponico, nel 2013, si congederà momentaneamente dal grande schermo, lasciandoci in pegno il celebre verso di Paul Valéry: “Le vent se lève, il faut tenter de vivre”.
In sala da lunedì 25 luglio 2022
Cast & Credits
Nausicaä della valle del vento – Regia: Hayao Miyazaki; sceneggiatura: Hayao Miyazaki, Kazunori Itō; fotografia: Hideshi Kyonen; doppiatori italiani: Paola Del Bosco (Nausicaä), Gioacchino Maniscalco (Yupa), Piero Leri (Mito), Luca Ernesto Mellina (Goll), Mimmo Palmara (Gikkuri), Vittorio Guerrieri (Asbel), Romano Malaspina (Jihl), Norman Mozzato (Voce narrante); produzione: Topcraft, Tokuma Shoten, Hakuhodo, Nibariki; origine: Giappone 1984; durata: 117’; distribuzione: Lucky Red.