Occhi blu

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Che cosa succederebbe se trasportassimo l’universo informe e dilatato del Cinemascope nella Roma del ventunesimo secolo? E se trasformassimo i caliginosi anfratti della Senna nei muschiosi muraglioni del Lungotevere? E se gettassimo un malinconico detective francese nell’intricatissima ragnatela della Capitale delle Capitali?

Reduce dalle fantasie di Matteo Garrone (Primo amore, 2004), Ferzan Özpetek (Cuore sacro, 2005), Franco Battiato (Musikanten, 2005), Marco Bellocchio (Vincere, 2009) e Cristina Comencini (Quando la notte, 2011), l’attrice Michela Cescon dedica il suo primo lungometraggio ad un genere che, nel nostro spazio-tempo, sembra ormai appartenere ad un passato più che remoto: Occhi blu è un omaggio al mistero inesplicabile portato in scena dal polar degli anni ’40 e ’50, a quella strana e indecifrabile foschia che ci illudiamo di aver scacciato dal nostro presente.

Come avviene in ogni noir che si rispetti, il protagonista non è da ricercare nel mazzo dei vincenti, degli investigatori, della cosiddetta giustizia, ma in quello dei perdenti, degli esclusi, dei clochards di nome e di fatto. Spesso i due mondi collidono e le carte finiscono per scambiarsi di posto – in poche parole, il gatto diventa topo e viceversa. È esattamente ciò che accade nella pellicola della Cescon: i fanti, i re e le regine si rifiutano di seguire l’ordine prestabilito del solitario a cui ognuno di noi si è ormai abituato, reclamando un libero arbitrio poco incline ad inserirsi nel piattume ipocrita dell’ortodossia sociale.

Occhi blu è innanzitutto un personaggio, una sorta di evanescente messaggero del poliziesco giunto da una dimensione parallela per scatenare l’entropia nel sonnolento labirinto dei fori romani: il ruolo sembra scritto apposta per la gelida malinconia di Valeria Golino, la quale con il suo alter-ego non condivide soltanto il nome, quanto l’amara saggezza che ne contraddistingue lo sguardo. Impiegata di giorno, rapinatrice di notte, centaura per professione: Valeria trascorre le sue giornate volando all’interno di un paesaggio urbano minimalista ma ancora selvaggio, colonizzando l’intera città e appuntando la sua bandiera su ogni istituto bancario. Il movente possiamo solo ipotizzarlo ma (per fortuna!) non lo scopriremo mai. Ad accompagnarci in questo percorso circolare è un commissario romano dal carattere schietto e fumantino (Ivano de Matteo, qui celatosi sotto lo pseudonimo parlante di Murena), scortato da un enigmatico collega parigino appena ritrovato (Jean-Hugues Anglade, vero e proprio araldo del crimine da cinematografo). I due formano una coppia di opposti: irruento e impulsivo il primo, riflessivo e solitario il secondo – non a caso, sarà proprio il nostro accigliato Simenon a costruire un ponte comunicativo in grado di metterlo in contatto con l’impenetrabilità di Valeria.

Avviluppato dal ragno-centauro, intrappolato fra i fili di una routine dissestata, immerso in una tela di interminabili fughe, l’osservatore si renderà presto conto di quanto sia inutile il mestiere del detective, di quanto sia sciocco spostarsi sulla scacchiera puntando semplicemente alla regina, di quanto sia egoista giocare solo per vincere. In tal senso, Michela Cescon intende insegnarci a guardare i frammenti del mosaico senza pretendere di ricomporli. Se ogni personaggio si muove attraverso l’ombra di una motivazione in grado di spiegare i suoi gesti (Anglade, ad esempio, fa capolino dai fumi del grande schermo francese per vendicare la morte della figlia tredicenne), Valeria si limita ad osservare la realtà, divertendosi a buttare all’aria le brave pedine – che siano bianche o nere, non ha nessuna importanza.

Gli occhi blu menzionati nel titolo della sua Odissea sono anche i nostri: è attraverso di essi che impariamo a vedere e, una volta giunti all’epilogo, ci sentiamo come un cacciatore notturno in grado di distinguere le sue prede nell’oscurità più profonda. Nulla ci è svelato, la cinepresa si muove in direzione diametralmente opposta rispetto a quella di solito intrapresa: l’obiettivo nasconde anziché mostrare, confonde anziché chiarire, inganna anziché svelare. In questo polar sottosopra l’azione è quasi del tutto assente – eccezion fatta per alcuni brevi inseguimenti in moto, sempre e comunque girati in bilico fra sogno e veglia. Nel film come nella vita, ci sono vittime senza assassini, scene del delitto senza delitto, segreti noti a chiunque e armi invisibili. Una volta terminato l’ultimo fotogramma, sappiamo qualcosa in più e qualcosa in meno: il film ci lascia piacevolmente insoddisfatti, ci induce a crogiolarci nel dubbio (che è poi il mestiere dell’investigatore), ci osserva con la stessa sagacia ferina con cui il gatto insegue il topo – e con cui Valeria insegue noi.

In programmazione da giovedì 8 luglio


Cast & Credits

Occhi blu – Regia: Michela Cescon; sceneggiatura: Michela Cescon, Marco Lodoli, Heidrun Schleef; fotografia: Matteo Cocco; montaggio: Sara Petracca; interpreti: Valeria Golino (Valeria), Ivano de Matteo (Murena), Jean-Hugues Anglade (il francese), Matteo Olivetti (Marco); produzione: Tempesta e Palomar con Rai Cinema; origine: Italia 2021; durata: 86’; distribuzione: I Wonder Pictures.

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