Ritorno a Seoul di Davy Chou

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I genitori più importanti o decisivi sono quelli “naturali”, di sangue oppure quelli acquisiti che si sono occupati di crescerti e darti un’educazione e un futuro? È su questa semplice, “basica” domanda, su questo dilemma a cui in genere si risponde con la seconda opzione, che ruota tutto il bel film di Davy Chou, ispirato all’esperienza autobiografica di Laure Badufle, una amica del regista franco-coreano qui all’opera seconda.

Presentato l’anno scorso al Festival di Cannes (nella sezione “Un Certain Regard”) e ora in uscita nelle nostre sale e sulla piattaforma Mubi, Ritorno a Seoul narra di una venticinquenne impulsiva e testarda, Freddie (Ji-Min Park), che partita alla volta del Giappone, si ritrova, per caso e/o per sfida, in Corea del Sud per la prima volta da quando, appena nata, era stata abbandonata e adottata da una coppia di francesi. In breve, dopo alcuni incontri e nuove amicizie in un luogo che inizialmente le sembra estraneo e misterioso se non addirittura ostile, in un paese di cui non parla la lingua né conosce i codici di comportamento, la ragazza decide di lanciarsi caparbiamente nella ricerca/scoperta dei genitori naturali, i quali a suo tempo, per necessità e miseria, l’avevano ripudiata pensando di offrirle una vita migliore da quella che all’epoca l’avrebbe aspettata.

Tra ripensamenti traumatici, difficili incontri con il padre e l’ombra lunga di una madre biologica che, a differenza dell’ex-marito, sembrerebbe non volere farsi rintracciare, Freddie si trova a vivere una cultura molto diversa da quella occidentale, intraprendendo un lungo viaggio nel viaggio che, nel corso di più di sette anni (dal 2013 al 2021 all’incirca) e diversi salti temporali, la porterà in una direzione di maturazione e di crescita del tutto imprevedibili. Per scoprire che forse questa è la vita vera: incontrare l’inaspettato, cavalcarlo, essere tutte le persone che sei o avresti potuto essere.

L’ottica adottata qui nel suo secondo lungometraggio da Davy Chou differisce in modo radicale da quella del suo film franco-cambogiano di debutto, Diamond Island (2016), dove narrava di una ragazza di 18 anni che lasciava il villaggio natale in campagna per recarsi a Phnom Penh per lavorare nel cantiere di un modernissimo complesso edilizio. In Ritorno a Seoul si tratta, invece, di un cammino opposto a quello più scontato e molto maggiormente narrato di una/un emigrante che per necessità va a vivere in una situazione altra, di maggiore benessere. Freddie è sì una ragazza dai tratti fisici orientali ma, almeno all’inizio, completamente francesizzata (e un tantino nevrotica e sopra le righe) che compiendo un tragitto a ritroso si trova a riscoprire le sue radici, la sua famiglia naturale per cercare di abbracciarne (ma chissà sino a che punto?) la Weltanschauung, per meglio capire cosa vuole da sé e dalla sua vita. In una parola, cerca di domandarsi e rivolge la presente domanda a noi spettatori: qual è la tua vera identità, qual è il tuo posto nel mondo al di là di facili scorciatoie?

In tale difficile tragitto che è dunque, insieme, un coming of age, la ragazza tronca, si lascia alle spalle, in modo brusco, il suo legame con i genitori acquisiti e la precedente vita in Francia che viene come cancellata come con un colpo di penna (ed infatti a tale aspetto il film dedica solo degli accenni fugaci, forse persino troppo fugaci).

Narrato con un’ampia tavolozza di sentimenti e un ampio ventaglio di sfumature – da quelle più patetiche a quelle più tragiche come il rimorso del padre alcolista (cosa che in Corea più che in altri paesi non rappresenta certo un’eccezione) – Ritorno a Seoul tematizza e analizza, con precisione, la crescita della protagonista che da ragazzina un po’ folle cerca ormai donna più consapevole un suo ruolo stabile tra oriente e occidente, quindi tra universi parecchio lontani. Quello di Davy Chou diventa così un bel film, caratterizzato da dei detour imprevedibili e sorprendenti, ben fotografato e altrettanto ben interpretato da una efficace protagonista, Ji-Min Park, una cantante e conduttrice televisiva qui alla prima esperienza come attrice di cinema.

Insomma, in definitiva da raccomandare soprattutto a chi ama il cinema intellettuale dai tratti simpaticamente borderline.

In sala dall’ 11 maggio (e su MUBI)


Ritorno a Seoul (Retour à Séoul) – Regia e sceneggiatura: Davy Chou; fotografia: Thomas Favel; montaggio: Dounia Sichov; musiche: Jérémie Arcache, Christophe Musset; interpreti: Ji-Min Park, Oh Kwang-Rok, Guka Han, Sun-young Kim, Yoann Zimmer, Louis-Do de Lencquesaing, Ouk-Sook Hur, Seung-Beom Son, Dong Seok Kim, Emeline Briffaud, Cheol-Hyun Lim, Régine Vial, Cho-woo Choi; produzione: Aurora Films in co-produzione con Vandertastic, Frakas Productions; origine: Francia/Cambogia, 2022; durata: 113 minuti; distribuzione: I Wonder Pictures in collaborazione con MUBI.

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