Sanctuary di Kan Eguchi

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Agli occhi del pubblico occidentale, il sumo è sempre stato uno sport ed una disciplina esotica, di difficile comprensione, e di scarso appeal. Al pubblico videoludico verrà subito in mente il personaggio di E.Honda, lottatore presente nel roster di Street Fighter. La sua mossa speciale più potente consisteva in una serie di movenze quasi indecifrabili, una sorta di schiaffo frontale rapidissimo a mano aperta, ripetuto. Guardando Sanctuary, ho finalmente capito il significato di tale tecnica, e un interesse inaspettato nei confronti di questa disciplina, composta da incontri brevissimi e perlopiù anticlimatici (non per nulla si suol dire Sumo, l’arte di attendere venti minuti per un incontro che dura cinque secondi) è sorto in me. 

Questo, al di là dei meriti di qualità intrinseca, è il primo grande pregio di Sanctuary, guardare questa serie Netflix mette voglia di assistere ad incontri reali di sumo, capire se ciò che viene rappresentato corrisponde al vero o all’esagerazione fumettistica, ed avere una più chiara percezione dello spirito e dell’essenza del sumo. Wataru Ichinose, l’attore che interpreta il protagonista Kiyoshi Oze, è perfetto con la sua faccia imbronciata e la sua espressività monocorde, colpisce l’immaginario come un macigno e sin da subito parteggiamo per lui, nonostante i fasulli tentativi di darci l’impressione di una personalità difficile, violenta, problematica. Ma il punto è che in Sanctuary non si riesce ad odiare nessun personaggio, neppure la madre di Kiyoshi, degenerata all’inverosimile, che sfrutta il figlio in tutti i modi e non esiterebbe un solo secondo a sbarazzarsene, alla fine rappresenta un tassello indispensabile alla personalità esplosiva del nostro eroe. 

Entrando nel discorso della rappresentazione vien da chiedersi ovviamente: il sumo è veramente questo? La discriminazione femminile così rigida e severa, il bullismo tollerato e anzi utilizzato come strumento di allenamento e di formazione, allenamenti estenuanti che arrivano non di rado a compromettere la stessa salute dell’atleta in maniera permanente? Quanto c’è di vero e quanto è spettacolarizzazione distorta? 

Daremo risposta a questi interrogativi tra breve alla fine di questo nostro testo. Ora che abbiamo tolto di mezzo le questioni della verosimiglianza possiamo subito dire che Sanctuary è una serie da non perdere: sicuramente esprime un’emotività di superficie, ma contiene tutto, dramma, tragedia, sofferenza, disciplina, rigore. Gli incontri sono studiati alla perfezione, i pochi secondi vengono dilatati con dei meravigliosi rallenti e il confronto psicologico tra gli atleti guarda alle narrazioni degli anime sportivi che hanno fatto scuola (Slam Dunk su tutti) e che danno quei riferimenti narrativi per creare la nemesi perfetta al nostro eroe: il titanico Hisofuji Hiroki, vero ex lottatore di Sumo, che interpreta Shizuuke, figura nobilissima ed tragica, del quale ci vengono raccontati i trascorsi e la drammatica infanzia. A questo punto, non è più questione di stare dalla parte di uno dei due, ma di assistere ad uno scontro – perdonate la pomposità-  di spiriti forgiati nella sofferenza e nell’ingiustizia, complementari, due uomini la cui vita è composta da un coacervo di traumi e disgrazie, e che trovano, nel sumo, un riscatto ed un’identità. 

Il rituale dell’allenamento sportivo giapponese spesso consiste nella ripetizione di un movimento elementare, apparentemente insignificante, ripetuto all’inverosimile, sino a raggiungere il corrispettivo motorio della “sazietà semantica”, e investendo l’azione di un significato che va al di là dell’allenamento, che rappresenta dedizione, umiltà, sacrificio incondizionato, trascendenza.  

Qualcuno ricorderà il famigerato motto “dai la cera, togli la cera” proferito da Pat Morita, nei panni dell’eccentrico maestro di arti marziali, Myagi, proveniente da Okinawa, in Karate Kid, (John G. Avildsen, 1984); nello Shonen manga di Slam Dunk, si trattava di ripetere all’infinito i “fondamentali” lancio al canestro da fermi, nel caso di Sanctuary, si tratta dello Shiko, un esercizio per rafforzare le gambe, semplicissimo, ma che simboleggia l’umiltà e la perseveranza “non riesci a vincere perché non fai lo Shiko” viene detto ripetutamente al nostro protagonista, che, come da copione, inizialmente si mostra irascibile, turbolento, arrogante, aggressivo, scortese e immaturo, e rifiuta di perdere tempo con lo Shiko.  

L’istruttore però intravede del potenziale ed in qualche modo riconosce nel giovane i tratti impulsivi che lui stesso possedeva in gioventù, il copione e la parabola sono scritti sin dal primo episodio, Sanctuary è, in questo, una serie estremamente prevedibile, ma ciò non toglie assolutamente nulla al piacere della visione ed assistere all’evoluzione delle dinamiche tra i personaggi, rivalità, invidia, scontri tra clan, momenti di delicatezza, gag triviali, il tutto infuso di un entusiasmo e di un dinamismo visivo che, altro grande pregio, è capace di comunicare il vero fascino di questi atleti. I loro corpi massicci rispondono ad un’estetica ben lontana dalla nostra, eppure l’eleganza del gesto e del rituale ci viene restituita in maniera immediata ed estremamente ipnotica, la capacità di assumere, nell’aspetto e nelle movenze, una profonda solennità provoca una fascinazione che, bisogna riconoscere, è sicuramente veicolata da una regia creativa, attenta e non banale, ad opera di Kan Eguchi 

Tornando alla domanda di poco prima, insomma il mondo del Sumo è veramente questo?  

Verifichiamolo caso per caso: nel telefilm, una giornalista donna viene incaricata di fare un reportage sul sumo, la sua presenza, inizialmente, è vista come sgradita e quasi dissacratoria. Questo, purtroppo, è verissimo: la tradizione odierna di escludere le donne dal ring è un’abitudine, dice Lee Thompson, professore di scienze dello sport alla Waseda University che ha studiato il sumo: le donne non erano ammesse nel ring o all’interno del circuito. Nel 2008, durante un incontro dimostrativo a Kyoto, una donna medico è stata mandata via dal dohyo (il ring) mentre stava cercando di effettuare la procedura di rianimazione ad un politico che aveva avuto un malore durante un discorso. 

Il bullismo? Probabilmente un tempo era così, al giorno d’oggi, nonostante ci possano essere ancora episodi, il fenomeno non è apertamente ammesso né incoraggiato. 

La routine giornaliera degli atleti? Sì, in questo caso è proprio così: loro routine inizia la mattina presto e trascorrono ore a lavorare sul loro fisico, sulla forza e sulla tecnica. Il compito di cucinare, pulire e altre scarse attività ricade sui tirocinanti più giovani. Vitto e alloggio sono forniti dalla “stalla”. Tuttavia, i tirocinanti potrebbero non guadagnare così tanti soldi fino a quando non ottengono ranghi più alti. 

Gli incontri truccati? Assolutamente sì, questa è una piaga che affligge il sumo professionistico da decenni. “A causa della quantità di denaro che passa di mano in base al rango e al premio in denaro, ci sono state numerose segnalazioni di yaochō (corruzione, attacchi truccati) nel sumo professionale per anni prima che fosse definitivamente dimostrata l’esistenza nel 2011. La struttura dello sport, in cui una minoranza di lottatori di alto livello ha grandi vantaggi in termini di stipendio, privilegi e status rispetto ai lottatori di livello inferiore che costituiscono la maggioranza dei partecipanti a sumo, potrebbe aver contribuito all’uso delle partite truccate al fine di prolungare la carriera dei lottatori di alto livello e di assistere nella distribuzione delle promozioni.” (Hongo, Jun, Il sumo-rigging nato per necessità?  in«Japan Times» 9 febbraio 2011) 

Altre cose sono semplificazioni o romanzature, come la fulminea carriera del protagonista, che passa velocemente a gradi più elevati, diventando una celebrità in breve tempo, ed il suo stesso atteggiamento irriverente, certe buffonerie risulterebbero inammissibili e comporterebbero conseguenze ancora più gravi di quelle che vengono suggerite dalla serie.  

A chi volesse approfondire consigliamo il discreto film di Shiko Funjatta, Sumo do, sumo don’t (1992), per avere invece una idea più ravvicinata della quotidianità dei lottatori suggeriamo A Normal Life. Chronicle of a Sumo Wrestler  (2009) di Jill Coulon. 

Su Netflix 


Sanctuary –  Regia: Kan Eguchi; sceneggiatura: Kanazawa Tomoki, cast: Wataru Ichinose, Pierre Taki, Shioli Kutsuna, Shōta Sometani, Hiroki Sumi, Koyuki Kakuso; musica: Hideoki Mogi; fotografia: Yasushi Naoi, Norifumi Ataka, Jun Tanaka; produzione: slow tide, Netflix;  origine: Giappone, 2023; durata: 30-65 min, Episodi: 8; distribuzione: Netflix.

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