Nella contea rurale di Hood River, Oregon, una donna, la Signora, incontra un uomo, il Demone, e i due vanno in un motel locale per fare sesso. Prima di affittare una stanza, la Signora spiega al Demone i rischi che le donne corrono quando si comportano in questo modo, libero e emancipato, solo per divertirsi, e gli fa confermare se lui sia o meno un serial killer. Dopo che lui dice di no, la Signora accetta di passare la notte con lui e chiede che lei e il Demone si impegnino in un gioco sadomaso, iperrealistico, in cui lui finge di essere un assassino e lei la sua vittima. Dopo ore di gioco e niente sesso, la Signora insiste che i due usino cocaina prima di passare all’azione, il Demone con riluttanza acconsente, tanto per vedere se la notte abbia un senso, e, quindi, che si arrivi a fare sesso.
Il vero gioco, però, è quello del quasi esordiente regista JT Mollner, di questo Strange Darling, con il suo pubblico. I capitoli in cui è diviso il film si alternano, infatti, in una sequenza non ordinata, che genera molta suspense e un certo mistero, ai quali non si è abituati come spettatori di thriller e di horror spaventosi ma più convenzionali. Certo, la stessa idea dei capitoli che si sovrappongono non è originale a priori, basti pensare al capolavoro di Tarantino Pulp Fiction (1994), ma lo diventa a posteriori non tanto per lo stile formale del film, come accade in quel caso, quanto per una sostanza di eventi traumatici, che testimoniano una ottima sceneggiatura, anch’essa dello stesso regista. Tarantino può raccontare tutto, anzi si permette tutto e tutto gli concediamo in virtù di uno stile ipnotico. Qui, invece, la credibilità di quanto vediamo non è frutto di virtuosismi, di una fotografia esasperata sebbene ben presente o di un montaggio serrato che faccia esplodere la violenza; la credibilità nasce dalla forza dei contenuti mostrati.
È sicuramente questo il merito di Strange Darling, descrivere con semplicità una ottima storia che si narra da sé. E che io non posso andare oltre nel raccontare per non deludere le aspettative dei lettori, potenziali spettatori. A cui però posso testimoniare la bellezza e la forza di questo film, confermando quanto se ne diceva e se ne dice di buono nei media. La violenza è esplicita, ma coinvolge tutti, e una musica teneramente in contrasto con gli avvenimenti accompagna la sensazione, dura, di una generale desolazione morale e di una grande, dannata, solitudine. La consapevolezza del male di cui sono portatori i personaggi non li redime, anche se alcune scene rimandano a una lucidità temporanea che porta i personaggi a interrogarsi per un momento e che solleva negli spettatori il dubbio sul proprio giudizio e sulla propria distanza da questo tipo di figure. I loro interpreti sono eccellenti, Willa Fitzgerald e Kyle Gallner danno tantissimo, fisicamente e psicologicamente, all’interno di una storia estenuante.
Da vedere senza pregiudizi, aspettandosi solo il meglio della semplicità di una buona idea. Sulla domanda, infine, se e come rappresentare la violenza al cinema, una risposta non esaustiva ma possibile è che la violenza è sempre stata rappresentata dall’arte perché fa parte da sempre della società umana, e possiamo solo imparare a controllarla, anche attraverso film come Strange Darling. Che inevitabilmente pone questa domanda, eludendola infine con il caos morale in cui si precipita alla fine del film e dal quale ci sentiamo in qualche modo sollevati.
Consigliamo di vederlo, in buona compagnia, quella di Stephen King e J.J. Abrams che lo hanno sostenuto, e segnaliamo come direttore della fotografia l’attore Giovanni Ribisi, già in Avatar (James Cameron, 2009), che offre una grande, inaspettata prestazione attraverso luci e colori decisi, come i fatti raccontati.
In sala dal 13 febbraio 2025.
Strange Darling – Regia e sceneggiatura: JT Mollner; fotografia: Giovanni Ribisi; montaggio: Christopher Robin Bell; musica: Craig DeLeon; interpreti: Willa Fitzgerald, Kyle Gallner; produzione: Miramax; origine: USA 2025; durata: 96 minuti; distribuzione: Vertice360.