Venerdì 23 febbraio, intorno all’ora di pranzo, nella vetusta “Akademie der Künste”, tristanzuolo residuo architettonico di Berlino Ovest dalle poltrone scomodissime, ci è accaduto di assistere a un film molto interessante contenuto nella sezione Encounters del documentarista americano Travis Wilkerson intitolato Through the Graves the Wind is Blowing (titolo tratto da una canzone di Leonard Cohen) che, come dirò fra un attimo, racconta di Spalato, si occupa di storia jugoslava, dei tremendi crimini compiuti dagli ustascia e delle numerose tracce di fascismo/neo-fascismo presenti nella Croazia attuale. Ma prima di venire a parlare del film occorre parlare del prima e del dopo. Il prima: Carlo Chatrian, direttore della Berlinale e ideatore della sezione Encounters (va detto: molto cresciuta col tempo!) ha preso commiato, per l’ultima volta ha introdotto un film della sezione da lui creata. Era ben visibile la sua commozione. Il dopo: il regista americano è stato richiamato sul palco, come avviene sempre nella prima proiezione aperta sia alla stampa che al pubblico, ma anziché dar vita al classico Q&A ha chiamato sul palco una donna originaria di Gaza che, leggendolo dal cellulare (ormai fanno tutti così) ha dato vita, talora trattenendo a stento le lacrime, a un lunghissimo statement, raccontando i disastri in cui vive la popolazione locale, parlando anche dei propri famigliari e accusando i paesi europei (soprattutto la Germania) e gli USA di totale indifferenza nei confronti della condizione in cui versano palestinesi. Il piccolo comizio della donna è stato fortemente appoggiato da Wilkerson ma ha fatto, in sala, scatenare un dibattito, sia sulla sostanza (non è stato fatto alcun riferimento al 7 ottobre, all’attentato terroristico di Hamas), sia sul contesto (che c’entra questo dibattito a conclusione del film sul fascismo e sul neo-fascismo croato)? Molti spettatori, invece, si sono schierati a favore della donna palestinese. La cosa si è protratta talmente a lungo che alla fine il Q&A sul film croato non c’è proprio stato. Ci torno fra un attimo, non senza ricordare che la Berlinale è sempre stata un Festival politico, che quest’anno, tenuto conto dei vari fronti drammatici esistenti (Gaza, appunto, la guerra in Ucraina, e stando alla Germania la sempre più preoccupante forza elettorale della AfD), non poteva non emergere anche in contesti apparentemente lontani. E poi che cosa significa lontani?
Veniamo al film di Wilkerson, origine regista indipendente americano con una cospicua filmografia alle spalle. Wilkerson ha costruito un doppio film in bianco e nero, una parte, diciamo così, più fictional e una parte rigidamente documentale, autentificata dalla sua voce off. Le due parti non sempre anzi forse quasi mai sono saldate ma non importa, anche perché sono in grado così di garantire una variazione di toni che non disturba affatto. La parte ficitional è la più divertente: una via di mezzo fra i personaggi messi in scena già negli anni ’60 da Alexander Kluge (Leni Peickert ne La patriota e anche in un episodio di Germania in autunno) e, volendo scendere di molti livelli, i poliziotti svizzeri di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ne è protagonista un poliziotto appunto (Ivan Peric), che non volendo lavorare nell’unico settore che in Croazia tira, ossia il turismo, è entrato nelle forze dell’ordine e con un tono a tratti surreale racconta al regista che lo intervista i vari casi che si è trovato da affrontare. Tutti casi che, rigorosamente, lui non è in grado di risolvere, sia perché non pare particolarmente smart ed efficiente (tanto che nella percezione collettiva risulta un lavativo), sia perché le istituzioni croate sembrano quasi boicottare le sue indagini. I vari casi sono trattati con un tono molto molto scanzonato, e c’è poco da fare si ride, anche perché le vittime sono proprio i turisti che a quanto pare non solo lui ma un po’ tutti in Croazia detestano.
L’odio, ma in una scala enormemente superiore, è al centro della parte invece più squisitamente documentaria, a tratti davvero bellissima e allucinante, che attraversa in un arco temporale amplissimo la storia della Jugoslavia: dalla seconda guerra mondiale con una particolare attenzione riservata alla creazione del campo di concentramento anti-serbo, antisemita, anti-Rom, il più grande fuori dalla zona di direttissima influenza tedesca, il campo di Jasenovac, dove Wilkerson va in visita insieme ai figli, passando quindi per il periodo sotto la guida del Maresciallo Tito, la cui morte, tramite footage, viene annunciata facendo ricorso alle immagini di una partita di calcio dello Hajduk Spalato, dove e giocatori e arbitri scoppiano in lacrime, fino ad arrivare, dapprima, alla dissoluzione della Jugoslavia (anche questa raccontata attraverso il calcio) e, quindi, all’oggi e alla permanenza inquietante e pervasiva di tracce antisemite, di svastiche e della U con i punti, che è il simbolo appunto degli orrendi ustascia. Una parte, quella documentaria, davvero bellissima che accende i riflettori su cose che lo spettatore medio probabilmente non sa, o delle cui dimensioni non è certo al corrente.
Through The Graves The Wind Is Blowing – Regia: Travis Wilkerson; sceneggiatura: Travis Wilkerson, Ivan Peric; fotografia: Travis Wilkerson, Evin Wilkerson; montaggio: Travis Wilkerson; interprete: Ivan Peric, Travis Wilkerson, Matilda Jane Wilkerson, Dalton Wilkerson; produzione: Creative Agitation; origine: Usa, 2024; durata: 84 minuti.