X- A sexy horror story di Ti West

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Il cinema horror e il cinema porno sono due generi cinematografici che condividono un comune sguardo ossessivo, morboso e reiterato sul corpo, spesso giovane e più frequentemente femminile, ripreso nel pieno delle esperienze più radicali attraversate da un essere umano: la morte e il sesso.

X- A sexy horror story dichiara, fin dall’esplicito titolo, di contenere questi due aspetti nel suo orizzonte narrativo ed estetico, rievocando un mondo di segni e di codici che proviene dagli anni ’70.  Un’ epoca in cui nasceva la pornografia, quella che coniugava l’artigianato un po’ naif con le raffinatezze del cinema d’autore e un’audacia da cinema sperimentale (Gola profonda di Gerard Damiano, 1972, presentato qualche giorno fa al “Cinema Ritrovato” di Bologna in versione restaurata) e i film dell’orrore esprimevano la psicosi (e l’attrazione) collettiva verso una violenza sempre più truce e perversa (Non aprite quella porta di Tobe Hopper, capostipite del cinema slasher, dove si veniva fatti a pezzi da un uomo mascherato con la sega elettrica tanto per intenderci, a cui questo film guarda esplicitamente).

Ti West, sceneggiatore e regista, è uno dei più acclamati protagonisti del revival di quella particolare stagione del cinema horror ( suoi The House of the Devil e The Sacrament, accomunati da un’ambientazione agreste e da un contesto repressivo, patriarcale e sessuofobo) e cerca di spingersi questa volta ancora più in là nell’accostamento corpo erotico/corpo martoriato. I protagonisti di X- A sexy horror story non sono più solo il classico gruppo di hippies alla ricerca di promiscuità e droghe, ma la troupe di un film porno amatoriale a basso budget, guidata e coordinata, si fa per dire, da un un rozzo e improvvisato produttore con le sembianze di un culturista un po’ appesantito ( potrebbe essere il cugino bifolco del Mark Whalberg di Boogie Nights); alla sua scalcinata corte di miserie senza nobiltà troviamo una coppia di fidanzatini, studenti universitari e aspiranti filmakers d’essai, lui operatore di ripresa con look e ambizioni da Nouvelle Vague californiana e lei, addetta al suono, divisa tra moralismo e desiderio di apparire; i due interpreti principali del film dall’evocativo titolo “Le figlie del fattore”, entrambi rappresentanti del cliché multirazziale del genere (la bionda disinibita tutte curve e lo stallone nero che non deve chiedere mai);  e soprattutto lei, Maxine, la ragazza del produttore, persa nel riflesso narcisista di uno specchio oscuro  e nella volontà assoluta di trasfigurare il suo volto e il suo corpo irregolari e non conformi al sistema (a interpretarla la Mia Goth di Nymphomaniac e di Suspiria versione Luca Guadagnino, dalla bellezza atipica e a tratti inquietante) nei tratti iconici di una star hollywoodiana.

Un simile mix di ambizioni,  pulsioni e avidità non può che scontrarsi  inevitabilmente, e programmaticamente, contro la solita casa in mezzo al bosco e con annesso stagno nelle vicinanze,  abitata dai classici coniugi anziani che da subito rivelano  la loro indole sadica e psicopatica. Tutto questo materiale è funzionale a West per  riproporre e sintetizzare , nella durata di 105 minuti ( che sembrano troppi all’inizio e troppo pochi alla fine per una non calibrata gestione dei tempi narrativi), situazioni e atmosfere di almeno 50 anni di cinema , da Psycho (l’originale capolavoro hitchcokiano ma anche il remake subliminale di Gus Van Sant ) al già menzionato Non aprite quella porta, fino ai più contemporanei Alta tensione di Alexandre Aja, altro incubo notturno di campagna tra eros e schizofrenia, e The Visit di M.Night Shyamalian, con due vecchietti folli che già sradicavano l’archetipo familista dei nonni rassicuranti. Se il gioco dei rimandi e delle citazioni è potenzialmente molto divertente- a proposito di citazionismo l’incipit con lo sceriffo che scopre la carneficina sarà forse un’ omaggio a quello del tarantiniano Kill Bill ? – e di fatto un po’ stucchevole, l’ispirazione più perturbante proviene da un’ altra prospettiva:  la contaminazione con un’estetica pop eccessiva di carnalità, forme e colori richiama infatti non tanto l’intrinsecamente mortifera industria del porno quanto l’esperienza autarchica e vitalmente erotica del cinema di Russ Meyer (le figlie del fattore, per look e attitudine, non avrebbero sfigurato tra le sue Supervixens). I rispecchiamenti tra identità desideranti- in particolare tra la spregiudicatezza di Maxine, che  attraversa il sesso per essere ammirata e rispettata, e la decrepita, avvizzita proprietaria della fattoria che se ne nutre in maniera vampiresca per rimanere in vita- diventano così, caricati e saturati dal dopato immaginario meyeriano, l’espressione di una nuova libertà senza tabù , destinata a infrangersi nei mille pezzi del delirio edonistico, autoreferenziale e individualista degli anni ’80 ( il film è ambientato non a caso nel 1979).

E, con un colpo d’ala finale che corregge lo sbrigativo e raffazzonato svolgimento della carneficina seriale , c’è l’evocazione di uno sguardo diversamente etico, estetico e problematico sulla pornografia e le sue implicazioni esistenziali e relazionali: l’Hardcore di Paul Schrader dove George C. Scott,  provinciale dalla rigida morale calvinista, si addentrava nell’antro infernale della metropoli per recuperare la figlia sbattuta e sperduta tra i set a luci rosse. Anche qui c’è una figlia perduta  e un padre forse ancora più rigido che predica con furia e enfasi sul declino di principi e valori da uno schermo televisivo in bianco e nero. Questa volta però non c’è nessuna possibilità di redenzione: a Maxine attende l’ingresso determinato e implacabile dentro una nuova illusione di salvezza e riscatto, a bordo di un furgone che travolge e schiaccia teste, perversioni e sensi di colpa. E tutto questo un attimo prima che il suo sguardo perda l’innocenza e lo smarrimento di chi stava per essere consumato , per acquisire la famelicità e la spietatezza di chi diventerà un consumatore.

In sala dal 14 luglio


X-A sexy horror storyRegia e sceneggiatura: Ti West; fotografia: Eliot Rockett; montaggio:David Kashevaroff, Ti West; musica:Tyler Bates, Chelsea Wolfe; interpreti:  ; produzione: Ti West, Jacob Jaffke, Kevin Turen, Harrison Kreiss ; origine: USA , 2022; durata:  106′; distribuzione: Midnight Factory.

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