Zamora di Neri Marcorè

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Un “bravo” a Neri Marcorè, non fosse altro perché nel suo primo film da regista, Zamora, fa parlare i suoi personaggi senza la musica sotto, come invece sempre accade nel cinema italiano, purtroppo. Certo non sta solo qui il pregio di questo piccolo film tra nostalgico e tenero, epperò non sdolcinato, tratto dal romanzo omonimo dello scomparso giornalista sportivo Roberto Perrone. A Marcorè, marchigiano di Porto Sant’Elpidio, 57 anni, nella vita attore, cantante, imitatore, sceneggiatore e altre cose ancora, mancava l’esperienza dietro la cinepresa, che arriva tardi ma forse non tardiva. Dopo l’anteprima italiana al Bif&st (16-23 marzo) di Bari, sarà nelle sale dal 4 aprile. 
Lo spagnolo Ricardo Zamora Martínez, 1901-1978, è considerato uno dei più grandi portieri di sempre, fu detto anche “El Divino”, ma il film non parla di lui, bensì di un contabile trentenne di Vigevano, tal Walter Vismara, che viene assunto da una grande azienda milanese, la Tosetto, ramo guarnizioni. Siamo esattamente a metà degli anni Sessanta, nell’ottobre 1965: infatti sta per uscire nelle sale Giulietta degli Spiriti di Federico Fellini, furoreggia alla radio “Il mondo” di Jimmy Fontana e in televisione va forte “La fiera dei sogni” di Mike Bongiorno (solo un lustro dopo arriverà “Rischiatutto”, che pure si vede in una scena).
Alto, belloccio e alquanto imbranato, arriva nella metropoli lombarda, dove già abita la sorella Elvira, senza sapere bene che cosa gli porterà in dono la vita. Intanto il cavaliere Tosetto, interista sfegatato, esige che i suoi dipendenti giochino a calcio, e al nuovo venuto tocca di fare il portiere della squadra “scapoli”, senza aver mai praticato quello sport.
Sarebbe un peccato raccontare il resto della storia, che sfodera più di una sorpresa: dico solo che “il Walter”, sfortunato in amore con la volitiva collega Ada, per non farsi licenziare decide di prendere ripetizioni da un ruvido portiere finito in disgrazia, tal Giorgio Cavazzoni, ex campione del Milan, ormai insidiato dai debiti, dall’alcool e dal senso di colpa.
Zamora, dal nomignolo che affibbiano per sfotterlo al contabile, è una commedia gentile, forse un po’ fuori tempo, sui temi del ripianto e della dignità: andrà benissimo sul piccolo schermo e mi auguro che trovi qualche attenzione sul grande. Siamo un po’ dalle parti di Le mie donne di carte di Luca Lucini, sempre coprodotto da Agostino Saccà, anche se qui il copione, firmato da Marcorè insieme a Paola Mammini, Alessandro Rossi e Maurizio Careddu, infoltisce di riferimenti apprezzabili (da cogliere o no) il tessuto: tra echi letterari da Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi e La vita agra di Luciano Bianciardi, forse un omaggio al primo Olmi, quello di film come Il posto, un contorno estetico un po’ in stile Il paradiso delle signore e una citazione esplicita da Il sorpasso di Dino Risi (“Non habemus cric, desolatus!”).
Marcorè si ritaglia il ruolo del portiere inglorioso, dai baffetti che conquistano, mentre nei ruoli principali, bene attribuiti, ci sono Alberto Paradossi, Marta Gastini, Anna Ferraioli Ravel più amici vari, da Giovanni Storti a Giacomo Poretti, da Antonio Catania a Davide Ferrario. Essendo un gaberiano di ferro, il regista/attore fa affiorare in una scena le note della romantica “Geneviève”, che è del 1959 ma ci sta bene lo stesso.
In anteprima al Bif&st 2024 
In sala dal 4 aprile

Zamora Regia: Neri Marcorè; sceneggiatura: Maurizio Careddu, Paola Mammini, Neri Marcorè, Alessandro Rossi; fotografia: Duccio Cimatti; montaggio: Alessio Doglione; musica: Pacifico; scenografia: Francesca Bocca; interpreti: Alberto Paradossi, Marta Gastini, Neri Marcorè, Anna Ferraioli Ravel, Giovanni Storti, Walter Leonardi, Giovanni Esposito, Antonio Catania, Pia Engleberth, Giuseppe Antignati, Pia Lanciotti, Alessandro Besentini aka Ale, Francesco Villa aka Franz, Giacomo Poretti, Davide Ferrario; produzione: Agostino Saccà per Pepito Produzioni con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 100 minuti; distribuzione: 01 Distribution.

 

 


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