99 Lune di Jan Gassman

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I cicli della natura e del cosmo come fasi che scandiscono l’incontro e lo scontro tra due corpi: è suggestiva e inconsueta la cornice temporale dentro la quale si muovono Frank e Bigna, i due tormentati amanti protagonisti di 99 lune, scritto e diretto dallo svizzero Jan Gassman con una spiazzante altezza di lucida osservazione e struggente affondo nei meccanismi e negli impulsi che determinano e scompaginano le regole dell’attrazione.

Il focus inizialmente è tutto su Bigna, brillante scienziata che studia le migrazioni delle specie animali per prevedere il verificarsi di catastrofi naturali come gli tsunami; già dalla descrizione della sua attività è chiaro che ci troviamo di fronte a una persona con una forte necessità di controllo e di gestione degli eventi potenzialmente disastrosi, apparentemente distanti e contenuti nel recinto virtuale di un monitor, di un dato,  di una statistica.

Ma Bigna estende questa (pre) visione, che è anche una questione di (pre)vedibilità, nell’aspetto privato della sua vita. Vive infatti la propria sessualità dentro i rituali e le forme organizzate da una sorta di agenzia che la mette in contatto con uomini senza identità e senza volto, rigorosamente mascherati, nei confronti dei quali è lei a scegliere la modalità di contatto, nell’ossessivo tentativo di prevedere, appunto, qualsiasi rischio che ne possa scalfire la superficie fisica o emotiva.

Questo assunto è destinato a crollare nel momento in cui l’ennesimo corpo anonimo che contatta attraverso le  fredde coordinate telefoniche si denuda dalla corazzata skin di uno schiavo d’amore e si scopre nella sua fragilità di essere piangente e desiderante. Si chiama Frank, ha l’aria sperduta ed erotica di un maledettismo fuori tempo massimo, e con lo spiazzante disordine della sua vita porta un animalesco, brutale caos nella roccaforte double face trasgressiva ed accademica di Bigna (di giorno la virtù della ricercatrice prodigio, di notte il vizio della glaciale mistress).

Entrambi, in fondo, fanno i conti con una precarietà speculare rispetto ad un ribaltamento dei ruoli culturali e sociali in cui sembrano intrappolati tra inquietudine e insoddisfazione: la decadenza di un certo maschile, non solo estraniato dalle perverse dinamiche di potere di una sempre più competitiva struttura economica ma deprivato anche di una sana capacità assertiva di autodeterminarsi, ha spinto Franz in quello spazio inesplorato e sommerso dove poter esprimere impulsi, desideri, sentimenti e perfino un’ affinità diretta, tattile e sensoriale con la natura; al contrario Bigna esercita, replicando però gli stilemi e le pratiche di una consuetudine maschile, la supremazia della propria intelligenza sistematizzata; c’è dunque l’ idea di poter integrare qualsiasi versione e giustificare ogni perversione  (con un sottile, condizionante innesto di cupo e luterano moralismo che aumenta il tormento e la conseguente estasi).

Abbiamo a che fare,  dunque, con uno schematismo abbastanza rigido, un po’ da film a tesi, ma, come in certo cinema della tedesca Maren Ade, c’è anche una messa in scena reiterata della dimensione spazio-temporale e di quella gestuale, che permette ai personaggi di rivelarsi nella loro livida e sensuale verità di corpi segnati e vibranti. Per restare in un affinità con l’opera di Ade, in Vi presento Toni Erdmann, il film più celebre della regista tedesca, troviamo una scena abbastanza disturbante in cui la formale e controllatissima donna manager protagonista (che ha rimosso l’eccentrico e imprevedibile padre) costringe il collega/amante a masturbarsi davanti a lei, con l’assoluto divieto di toccarla (con relativo uso inconsueto di un vassoio di pasticcini). Questa presenza/assenza di contatto, il grado zero da cui parte anche Bigna, chiede di essere attraversata e riempita: per Ade, che si confronta con l’enorme controparte di un paterno non omologabile e non riducibile, ciò avviene tramite la rappresentazione giocosa e anarchica della nudità e del mascheramento; per Jan Gassman si manifesta in una progressiva compenetrazione di coppia, fatta di strappi e di ritrovamenti (con uno scarto di consapevolezza e maturità sempre più intenso sia in Bigna che in Frank) che da prestativa e genitale si sposta sul più aperto e indeterminato piano della ridefinizione e del riposizionamento.

Fino ad arrivare a riconoscersi nella vulnerabilità e nell’autenticità di due esseri fetali, in un fluire amniotico che non si esaurisce nella rimozione radicale e implacabile dell’esperienza sessuale nel momento in cui transita dentro un’identità affettiva (Maria Schneider che spara a Marlo Brando nel finale di Ultimo tango a Parigi) o nell’interruzione e nell’ impossibilità quando ci si azzarda a sconfinare da un tempo e da uno spazio circoscritti (l’appartamento e il giorno in cui i due protagonisti di Intimacy di Patrice Chereau si incontrano per fare l’amore senza scambiarsi una parola).

Forse, allora, tra quel prendersi e lasciarsi in parole e azioni, rimane la suggestione finale di un uomo ridimensionato a feto indifeso e osservato dallo sguardo pieno di pietas e affetto della donna con cui si è amato e odiato fino a quel momento, in Un bicchiere di rabbia, dimenticato film brasiliano di Aluizio Abranche: una riflessione aulica e carnale su quanto le differenti visioni politiche, filosofiche ed esistenziali (e la loro specularità) incidono sull’ attrazione o sul conflitto tra i corpi-soggetti.

E anche Bigna e Franz , al termine del loro inquieto nomadismo lunare, si troveranno insieme, sdraiati su un letto non più campo terminale  di una battaglia, ma scena primaria di un abbraccio.

In sala dal 29 giugno


99 Lune  99 Moons) Regia e sceneggiatura: Jan Gassmann; fotografia: Yunus Roy Imer; montaggio: Jacques L’Amour, Miriam Mark; musiche: Michelle Guerevich; interpreti: Valentina Di Pace, Dominik Fellmann, Danny Exnar, Katerina Stoykova, Lia J. Von Blarer, Kathrin Schweizer, Jessica Huber, Ale Lindma, Gregory Ha; produzione: Zodiac Pictures; origine: Svizzera, 2022; durata: 110 minuti; distribuzione: Teodora Film

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