Monte Verità di Stefan Jäger

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Dai primi anni del 900 il monte Monescia, ribattezzato in seguito Monte Verità, era diventato una vera e propria calamita per quanti cercassero una vita a contatto con la natura e con sé stessi, lontano dalla realtà metropolitana. Una via alternativa per curare la salute e le proprie ferite interiori, piena di bagni di sole e di passeggiate nudi, a contatto con le radici della madre Terra.
I fondatori di questa comunità utopica lavoravano i campi, nutrendosi di verdura, frutta e piante e, tentando di sintonizzarsi su ritmi e cicli naturali, adoravano il “Dio Natura”. Nello stesso periodo, il mondo vive esperienze di vie sperimentali parallele di questo genere.
Nel 2018 Mario Martone con Capri-revolution delineava i tratti della vita “ideale” sull’isola di Capri agognata da un gruppo di giovani del Nord Europa alla ricerca di sperimentazione e libertà artistica, alle soglie della Grande guerra.
E anche in quel caso, il fulcro dell’intreccio era una donna, Lucia, che incarnava la purezza e gli ideali ancestrali di un luogo unico al mondo.
Anche questo Monte Verità, diretto da Stefan Jäger, è una storia di crescita e di emancipazione al femminile attraverso un percorso di rielaborazione di conoscenza e di autonomia.
Hanna Leitner (Maresi Riegner) madre di due figli, si mette in viaggio da Vienna verso il sud della Svizzera con il desiderio di fuggire da quel ruolo di donna borghese, perché ormai mal tollera non solo i doveri e le costrizioni della società ripulita in cui si sente intrappolata, ma anche il marito Anton (Philipp Hauß), autoritario, rigido, poco disposto ad accettare la sua grande passione per la fotografia, che Hanna coltiva in silenzio.

La donna, che sembra soffrire di attacchi di ansia, inizia una terapia col dottor Otto Gross (Max Hubacher), seguendolo fino al Monte Verità, dove comincerà a sentire finalmente la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni, lontana dai doveri imposti di madre e moglie. Si libererà quindi da inutili sensi di colpa, acquisendo consapevolezza umana e poi spessore femminile e artistico.
Il monte Verità è un luogo magico capace di assecondare e di lasciar fluire con naturalezza la propria essenza e quindi di ” resuscitare” le proprie naturali propensioni.
Come ne La montagna incantata di Thomas Mann, capolavoro pubblicato nel 1924, anche qui, la vita sembra scorrere senza essere intrappolata in rigide regole spazio-temporali.
In questo fluire, ci si riappropria di se stessi. Hanna, sul Monte Verità, capisce di voler realizzare i propri desideri e, attraversando conflitti e lacerazioni interiori,  conosce e dà del tu ai propri demoni.
E la natura, in questo duplice ruolo di amica/nemica somiglia tanto, nella fotografia come nel simbolismo, all’imponente e monumentale gruppo roccioso di Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir perché è emblema di un’ascesa spirituale e di un percorso di sperimentazione votato all’ illuminazione e alla crescita, qualunque cosa  possa significare.
Monte Verità, che oltre alla protagonista coinvolge anche personaggi reali come lo scrittore Hermann Hesse (Joel Basman), il medico Otto Gross (Max Hubacher) è uno specchio che svela quindi la natura dell’animo umano e i propri nodi irrisolti.
Jäger con delicatezza ed efficacia ci racconta dunque una storia di emancipazione femminile, dipingendo sullo sfondo il sogno di una comunità libera, utopica e pura.

Ps: non a caso, la fotografia del film è di una donna

In sala dal 29 giugno


Monte Verità (Der Rausch der Freiheit) – Regia: Stefan Jäger; sceneggiatura: Kornelija Naraks; fotografia:Daniela Knapp; montaggio:Noemi Katharina Preiswerk; interpreti: Maresi Riegner, Hannah Herzsprung, Max Hubacher, Joel Basman, Julia Jentsch, Phillip Hauss; produzione: Tellfilm, KGP Filmproduktion, Coin Film, MMC Movies Cologne, RSI-Radiotelevisione Svizzera, blue+Blue Entertainment; origine:  Svizzera/ Austria/Germania, 2021; durata:116 minuti;  distribuzione: Draka

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