Diciannove di Giovanni Tortorici

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Presentato in anteprima nella sezione Orizzonti all’ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia, Diciannove segna l’esordio, fulminante e convincente, di Giovanni Tortorici, Palermitano classe 1996, nel lungometraggio, vedendo tra i suoi produttori il nome di rilievo di Luca Guadagnino.

Sul punto di iscriversi alla facoltà di business in una università londinese, Leonardo Gravina (Manfredi Marini), diciannovenne palermitano fresco di diploma, con un rapporto conflittuale con la propria famiglia, in particolar modo con la madre interpretata da Maria Pia Ferlazzo, decide di sottrarsi al destino tracciato per lui da altri iscrivendosi alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Siena. Ne seguiamo la partenza da Palermo, nel 2015, verso Londra (con una valigia riempita di pochi vestiti e un tomo di Dino Campana), dove raggiunge la sorella Arianna (Vittoria Planeta) da cui è ospitato in un piccolo appartamento che condivide con la coinquilina Grazia (Dana Giulino), palermitana anch’essa.  La routine quotidiana dei tre si svolge tra lo sfondo diurno di una periferia sovrastata da alte ciminiere post industriali e lo skyline notturno del centro londinese, nella cui movida i tre si immergono per cercare sollievo e oblio dalle fatiche universitarie, tra techno music a tutto volume e generose dosi di alcool. Una vita, quella dei suoi coetanei, che però viene subito a noia al giovane Leonardo, animato da una profonda inquietudine.

Manfredi Marini (al centro)

Giunto a Siena, come per l’ultimo periodo di vita a Londra, Leonardo non sembra per nulla attratto dalla vita sociale. Parla a stento con le proprie coinquiline, con le quali non condivide alcun interesse, e ancor meno con i suoi compagni di corso. È preso, in un modo che molto si avvicina all’ossessione, solamente dai suoi studi letterari, mentre la sua esistenza pare avvitarsi in una spirale di “studio matto e disperatissimo” e solitudine, giungendo quasi a non uscire più dalla propria camera, dove inizia anche a cucinare. La sua chiusura al mondo sembra riflettere l’intransigente rifiuto di tutto ciò che esula dai suoi modelli letterari pre-novecenteschi.  Legge l’Epistolario di Pietro Giordani e la produzione letteraria di Giacomo Leopardi, e si dimostra privo di coordinate esistenziali di cui ha, evidentemente, un forte bisogno. Il suo, appare come il rifiuto tout court della contemporaneità, ma anche dell’autorità, cui però alterna momenti di maggiore leggerezza rappresentati da una sagace lettura ironica di se stesso e del mondo. Leonardo, in definitiva, diviso tra lo studio e il suo vagabondare tra le vie notturne di Siena, sta solo cercando se stesso e, forse, una guida che possa assisterlo in questa ricerca.

Si potrebbe pensare che Diciannove, sia “soltanto” l’ennesima riproposizione di un Coming of age, dove a predominare è un certo autocompiacimento nella scrittura filmica (pur presente, assieme, però, a una buona dose di sincerità, forse autobiografica, unita a una coraggiosa ricerca e sperimentazione formale) e la riproposizione in chiave drammatica di giovanili conflitti interiori. La pellicola di Giovanni Tortorici, invece, si tiene agevolmente  a galla poiché, nel raccontare le vicissitudini del protagonista, sa alternare più registri, con quella sincera leggerezza giovanile di cui si è detto, ben rappresentata dalla prova attoriale offerta da Manfredi Marini, bravo a reggere quasi solamente sulle proprie spalle l’intero film.

La mdp ne segue il vagare apparentemente senza meta tra le strade notturne di Siena (ma in parte anche di Londra e Milano) che sono lo specchio della ricerca, attuata dal protagonista, della propria individualità, del suo farsi uomo che ha bisogno di confrontarsi con un “qui e ora” (storico, politico, sociale) per considerarsi compiuto. Del rapporto tra se stessi e l’altro, che rischia sovente di condurlo a una chiusura intransigente e totale, quando da questo rapporto si produce una frizione insanabile tra le proprie aspettative e la propria visione del mondo e quelle che gli altri vorrebbero cucirci addosso.

In un dialogo rivelatore, posto quasi in chiusura di pellicola, a un certo punto si parla dell’“ipertrofia della pulsione di morte” che affligge il protagonista, che non è soltanto un riflesso dello Sturm und Drang tipico del processo di maturazione. Si tratta, più probabilmente, del dissidio personale che affligge la nostra condizione di figli che, da una parte ci spinge ad affrancarci dall’eredità dei “padri” (per Leonardo rappresentati sia da quello biologico, di cui conosciamo solamente una voce telefonica, sia dal professore universitario apostrofato come “pesce lesso”), mentre dall’altra  ci spinge a cercarla, rimanendo invischiati in un senso di frustrante inappagamento, di una aspirazione a raggiungere obiettivi costantemente troppo lontani, perché non propri.

Un debutto che si tiene lontano da facili risposte, preoccupandosi maggiormente di far nascere nello spettatore alcuni interrogativi. Di seguire, senza chiavi di lettura precostituite, la vita di un diciannovenne nel suo compiersi, del suo confrontarsi con la banalità e la complessità delle vicende umane.

Una scelta coraggiosa che, da sola, dovrebbe bastarci.

In sala dal 27 febbraio 2025.


Diciannove – Regia e sceneggiatura: Giovanni Tortorici; fotografia: Massimiliano Kuveiller; montaggio: Marco Costa; musica:; interpreti: Manfredi Marini, Vittoria Planeta, Maria Pia Ferlazzo, Zackari Delmas, Dana Giuliano, Luca Lazzareschi, Sergio Benvenuto; produzione: Paula Alvarez Vaccaro, Aaron Brookner, Agustina Costa Varsi, Luca Guadagnino, Francesco Melzi d’Eril, Marco Morabito, Moreno Zani; origine: Italia, 2024; durata: 108 minuti; distribuzione: Fandango.

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