Averroès et Rosa Parks di Nicolas Philibert (Festival di Berlino – Berlinale Special)

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Anche già prima di vincere l’Orso d’oro l’anno scorso qui alla Berlinale con Sur l’Adamant – che finalmente uscirà anche nelle nostre sale il prossimo 11 marzo -, Nicolas Philibert (classe 1951) è e resta il documentarista francese internazionalmente più celebre, grazie ad una lunga filmografia comprendete più di trenta opere, alcuni delle quali molto note e fortunate, ad esempio Nel paese dei sordi (1992) oppure Essere e avere (2002, riuscito però nelle nostre sale nel giugno del 2023). Non vogliamo qui ancora una volta ripercorrere la sua carriera – l’abbiamo già fatto in breve recensendo il film premiato che abbiamo appena nominato –, tuttavia bisognerà ricordare il succo, la natura sempre ricorrente del lavoro cinematografico che il regista di Nancy privilegia ed utilizza. Esso si basa su un lento e paziente avvicinamento progressivo al soggetto filmico che vuole ritrarre, sia individuale, sia collettivo che dir si voglia. Alla base di questo meticoloso e spesso estremamente lungo metodo di ricerca filmica, quella che si definisce ”osservazione di lunga durata”– similmente certo a quanto praticato da molti altri suoi colleghi ma che Philibert riesce a condurre con una pazienza certosina da vero scienziato al microscopio – sta, da sempre, un esemplare impegno etico e didattico.

Il che accade puntualmente anche in quest’ultimo suo lavoro Averroès et Rosa Parks che si presenta come una costola di Sur l’Adamant o meglio – come ci avvertono le informazioni di stampa – costituisce la seconda parte di un trittico  in divenire che il regista francese ha sta girando sul complesso delle strutture del Polo ospedaliero Paris Centre. Infatti, i nomi di “Averroès” e di “Rosa Parks” sono proprio quelli di due reparti dell’Ospedale Esquinol (conosciuto in passato come l’Ospizio di Charenton), un centro dunque per malati psichiatrici ed esse appartengono allo stesso complesso dell’“Adamant”, la nave-rifugio sulla Senna che abbiamo conosciuto nel film precedente.

Philibert quindi prosegue nella sua indagine sulle strutture psichiatriche di Parigi-Centro dove si mira innanzitutto alla riabilitazione progressiva dei degenti con una terapia non farmacologica, pur in una attuale situazione minacciata da grandi difficoltà economiche e materiali – nei titoli di coda di Sur l’Adamant si denunziava la possibile chiusura di quell’innovativa struttura nata nel 2010 che per fortuna non sembra avvenuta.  

Riguardo a questa seconda parte del trittico, il regista francese ha affermato: “mentre l’Adamant attira l’attenzione, le altre strutture, più classiche, non sono meno essenziali […] Averroès et Rosa Parks rappresenta un’estensione del primo film. È un po’ come se, dopo aver filmato il palco, questa volta mostrassi le quinte e il seminterrato”.

 Ed infatti anche il tono e il risultato scenico del suo ultimo film è estremamente meno spettacolare e animato di quello emerso dal mondo variopinto e vivace dei personaggi che aveva mostrato in precedenza sulla nave-ospizio ormeggiata sulla Senna. Più che sull’aspetto collettivo dello spazio messo sotto osservazione dalla macchina da presa, qui l’attenzione di Nicolas Philibert si concentra tutta, in maniera totale e ossessiva, sui colloqui con i singoli pazienti, sul riprendere – con interviste singole o in sessioni di gruppo – quanto ci raccontano, in modo che emerga e si chiarisca mamo mano il loro mondo interiore e le loro difficoltà di vivere o adattarsi alla società esterna. A ciò si affiancano i colloqui agli operatori sanitari con lo scopo di illuminare una sorta di sistema terapeutico dove la parola raccontata, lo sfogo della parola tende a acquisire un fondamentale valore liberatorio e curativo. Ne sortisce allora un lungo film (due ore e mezzo) semplice ma complesso al tempo stesso, assai poco accattivante per chi non si lascia affascinare e coinvolgere da un universo “altro” rispetto a quello nostro quotidiano, quello di noi cosiddetti “normali”.


Averroès et Rosa ParksRegia, sceneggiatura e fotografia: Nicolas Philibert; montaggio: Nicolas Philibert, Janusz Baranek; produzione: Miléna Poylo, Gilles Sacuto, Céline Loiseau per TS Productions ; origine: Francia, 2024; durata: 143 minuti.

 

 

 

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