Challengers di Luca Guadagnino

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Avevamo lasciato Luca Guadagnino nel 2022 con in mano un Leone d’argento per Bones and All (2022) e l’avremmo dovuto rivedere ad aprire la Biennale di Venezia 2023 con i suoi “Sfidanti” se l’annunziata prima del film non fosse stata rimandata, com’è noto, a questo aprile per lo sciopero di attori e autori ad Hollywood. Poco male dato che molto probabilmente la prossima opera, già pronta, del dinamico regista palermitano sarà di nuovo inserita nel programma della Mostra di questo anno – trattasi dell’adattamento del breve romanzo semiautobiografico di William S. Burroughs (1914 – 1997), Queer, scritto tra il 1951 e il 1953 ma pubblicato solo trent’anni dopo nel 1985 (in Italia è stato tradotto prima da Sugarco nel 1985 come Diverso e in seguito è nuovamente uscito da Adelphi nel 1998 con il titolo Checca). Una storia d’amore complessa e difficile come quella del presente Challengers, questa volta però tra il protagonista e un turista che non lo corrisponde, ambientata, almeno nel libro, tra Città del Messico e il Sud America, e sempre sceneggiata dallo scrittore e drammaturgo americano Justin Kuritzkes.

Ma finalmente occupiamoci del nostro film in uscita, che si colloca, a mio giudizio, ai piani più alti della produzione cinematografica di Luca Guadagnino, quella che noi identifichiamo ad esempio con il “viscontiano” Io sono l’amore (2009) e l’horror “giovanilista” Bones and All. E dell’uno e dell’altro, in Challengers, c’è dentro qualcosa e cioè dal primo un deciso taglio autoriale (ispirato a Bernardo Bertolucci, il regista che più profondamente ha influenzato Guadagnino) e dall’altro la voglia di trovare un aggancio, anche romantico, con l’attualità.

Non è mistero per nessuno ricordare che il tennis in Italia, al di là degli appassionati, dopo i tempi ormai remoti di Adriano Panatta stia (ri)vivendo un momento di fulgore popolare e mediatico con i successi di Jannik Sinner. Ed infatti proprio nel mondo della racchetta è ambientato Challengers, anche se poi lo sport vero e proprio sia un mero pretesto per raccontarci altro e risulta, dunque, quasi marginale rispetto al focus e agli intenti narrativi del film. Che invece tratta d’altro, cioè di una storia d’amore incasinata quanto mai, a tratti forse indecifrabile, tra due uomini, due amici o, meglio, ex-amici, e una donna che è al centro degli interessi e degli amori di entrambi. In breve, dunque, una faccenda alla Jules et Jim che tante volte, prima e dopo Truffaut, abbiamo visto trattata dal cinema.

In questo caso si tratta della vicenda di tal Tashi Duncan (Zendaya), una grandissima promessa del tennis che è stata costretta da un incidente a diventare allenatrice per non abbandonare del tutto quanto più venera al mondo, il tennis, la vera, forse unica passione della sua vita. La donna molto determinata, una vera macchina da guerra, cerca di spronare il marito Art Donaldson (Mike Faist), che ha ormai superato i trent’anni, a tornare ad essere un campione di prima fascia e quindi lo iscrive ad una gara dell’ATP Challenger Tour che, ci informa Wikipedia, “è una serie di tornei internazionali di tennis maschili di seconda categoria, studiati e gestiti dall’Association of Tennis Professionals per consentire a giocatori di seconda fascia di acquisire un ranking sufficiente per accedere ai tabelloni principali”. Insomma, un modo per riconquistare credibilità e poter partecipare alle gare veramente importanti e remunerative – cosa che alla coppia, soprattutto a lei maggiormente che a lui, farebbe particolarmente piacere. In tale occasione, Art si ritrova – guarda caso – a gareggiare sul campo di New Rochelle, nei pressi di New York, contro Patrick Zweig (Josh O’Connor), l’ex fidanzato di Tashi e un tempo suo fraterno, inseparabile amico di tennis e bisbocce varie, anche se i due anche da giovani avevano caratteri diametralmente opposti: metodico, familista e tranquillo l’uno; single, sciupafemmine e caotico l’altro. Entrambi avrebbero grandi doti e talento sportivo ma non sono stati (Patrick) o non sono più (Art) in grado pienamente di metterlo a frutto. Anche Patrick, infatti, è a un bivio importante della sua carriera che avrebbe bisogno di un salto in avanti dato che sulla sua carta di credito non c’è un becco di un quattrino, è costretto a dormire in auto o a sedurre una fan per poter avere un giaciglio. Entrambi avrebbero bisogno di Tashi che li potrebbe aiutare (chissà?) ad uscire dalle loro reciproche impasse – ma forse alla fine, sarà lo spettatore a deciderlo, potrebbe essere lei la vera perdente di quel fatale, fatidico incontro di tennis. Il resto è facilmente intuibile o quasi.

Costruito nel presente temporale del 2019 lungo lo svolgimento dei set della finale trai  due protagonisti maschili e osservati dall’occhio scrutatrice della donna, il film si articola, avanti e indietro nel tempo, per la durata di una decina d’anni in un complicato, troppo complicato meccanismo di flash back e di scatole cinesi dove si ricostruiscono mano mano i pezzi del puzzle del ménage à trois narratoci da Luca Guadagnino e di Justin Kuritzkes, qui alla sua prima esperienza di scrittura per il cinema. Un complicato andirivieni temporale che tende quasi a spiazzare lo spettatore e ad obbligarlo ad interrogarsi: ma a che punto stiamo, dove siamo andati a finire?

Questo ci sembra il maggior limite dell’ottava opera di Luca Guadagnino, per altro interpretata in modo convincente dai suoi tre protagonisti, oltre che simpaticamente cinefila, come si accennava, con le varie allusioni, tra le più evidenti, ai bertolucciani Novecento e The Dreamers o ai colpi d’ingegno di Sergio Leone. Ed è anche una pellicola che forse – difetto molto italico – abusa di un eccesso di musica, quella assordante di Trent Reznor e Atticus Ross (i due membri della band di industrial rock di Cleveland “Nine Inch Nails”) che punteggia ovvero martella il film.

Challangers ha bisogno di carburare, di essere del tutto digerito, magari, come è accaduto a me che ne ero uscito perplesso, di venir ben sedimentato nella memoria. Ma il risultato alla fine, fatta la tara di un certo manierismo soddisfatto, ci sembra nel complesso riuscito.

In sala dal 24 aprile 2024.


ChallangersRegia: Luca Guadagnino; sceneggiatura: Justin Kuritzkes; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom; montaggio: Marco Costa; musica: Trent Reznor, Atticus Ross; scenografia: Merissa Lombardo; interpreti: Zendaya, Mike Faist, Josh O’Connor, Nada Despotovich, A.J. Lister, Connor Aulson, Christine Dye, Naheem Garcia, Jake Jensen, Kevin Collins; produzione: Luca Guadagnino, Amy Pascal, Rachel O’Connor, Zendaya per Metro-Goldwyn-Mayer, Pascal Pictures; origine: Usa, 2024; durata: 131 minuti; distribuzione: Warner Bros. Pictures.

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