Codice Carla di Daniele Luchetti

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Ammettiamolo: non era affatto facile raccontare in 80 minuti un mito come Carla Fracci, scomparsa nel maggio del 2021; la quale – come ci informa il pressbook di Codice Carla – non fu soltanto una ballerina universalmente famosa, ma anche un’insegnante, un’attrice, un’interprete, una donna modesta e laboriosa. Un’icona universalmente riconosciuta e da quasi tutti amata: “era di tutti”, ammette candidamente Francesco Menegatti, il figlio unico avuto dall’étoile insieme al marito, Beppe.

Poteva scegliere la formula del classico documentario di matrice televisiva in stile “talking heads”, Daniele Luchetti; lavorare sul corposo materiale d’archivio che l’artista milanese ha lasciato in eredità, introdurre una chiave d’autore che servisse ad attualizzarlo oppure inventarsi una chiave lirico-intimistica utile a rendere il tutto meno asettico. Il regista de Il portaborse fa tutte queste cose insieme e – come si sa – il troppo stroppia: il docufilm risulta così un’occasione sprecata, al di là delle sue buone intenzioni, quasi soffocato dalle troppe intuizioni\ambizioni. Vediamo.

Compiendo un’apprezzabile scelta di campo, Luchetti sceglie di evitare la classica biografia cronologica, provando a restituire questa vita “bigger than life” con una sorta di sguardo impressionista “multiplanare”.

Il primo livello – come già segnalato – è quello che potremmo definire “lirico-soggettivistico”. Onde evitare le trappole del classico documentario su commissione, del tipico Santino agiografico commemorativo, il regista romano si mette in campo in prima persona. Spiega lui, con la sua viva voce, che la propria parabola d’artista in erba s’incrociò con quella della nota étoile quando a vent’anni, desideroso di vedere un vero set, si recò a Cinecittà, dove incontrò il mito alle prese con un film sulla musica di Giuseppe Verdi. E interviene puntualmente, questo voice-over un po’ incostante, come quando rievoca la stagione dei Teatri Tenda degli anni ’70, in cui a lui e alla sua generazione capitava di assistere agli spettacoli di Dario Fo, Fabrizio De André, dei Jethro Tull; e ovviamente di Carla, di cui qui si svela anche l’aspetto più sociale e persino politico. Una voce d’autore senz’altro autentica e quasi fanciullesca ma non si sa quanto pertinente, per la verità; che interloquisce con i repertori d’archivio, resuscitandoli, in qualche modo. E dialoga con Carla (con la sua immagine di celluloide), cui, tra le altre cose, chiede come le piacerebbe morire.

Il secondo livello del racconto è ovviamente quello relativo al materiale di repertorio, le performance dal vivo della Fracci che sono probabilmente la parte più riuscita del film, quelle immagini nude e crude, sbalorditive: Il Lago dei cigni del 1961, Le desmoiselles de la nuit al Teatro La Scala nel 1963. Les Sylphides al San Carlo di Napoli nel 1969. Giselle del 1969, La figlia di Iorio del 1976. E ancora Giselle al Teatro dell’Opera di Roma nel 1980. Cui Luchetti somma l’altrettanto struggente materiale iconografico, che mostra la danzatrice in compagnia di Franco Zeffirelli, Charlie Chaplin, Federico Fellini e Giulietta Masina, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo. E ovviamente di Rudol’f Nureev.

Jeremy Irons e Daniele Luchetti

Qui interviene il tocco d’autore: resosi cono che la musica sinfonica sulle cui note sono imperituramente fuse le gesta atletiche e insieme poetiche della danzatrice avrebbe potuto costituire uno schermo non necessariamente perforabile e intellegibile dallo spettatore del terzo millennio, Luchetti si è fatto aiutare da un altro genio della cultura pop contemporanea, il musicista Thom Yorke, artista poliedrico noto al grande pubblico principalmente per essere stato il frontman dei Radiohead. Al fine dichiarato di rendere il lavoro di Carla trasparente e accessibile da tutti.

Il risultato non è affatto male: il connubio tra la classicità apollinea del balletto e le sonorità “glitch” e afrobeat degli Atoms for Peace (che oltre a Yorke contemplano la presenza del bassista dei Red hot chili peppers, Flea; e di uno dei batteristi dei R.E.M., Joey Waronker), genera un effetto insieme stridente e prolifico; un effetto straniante che finisce per conferire alle polverose immagini di repertorio nuova vita, similmente a quanto accadeva nell’arcinoto videoclip di Radio Ga Ga degli anni ’80 del secolo scorso, in cui le note dei Queen erano montate  sulle immagini immortali di Metropolis di Fritz Lang.

Infine c’è il plot “talking heads”: una teoria di eminenti testimoni illustri convocati dal regista romano per provare a rispondere al seguente quesito: c’è ancora qualcosa da dire su questa ballerina eccezionale su cui sembra sia stato già raccontato tutto? Compaiono davanti ai nostri occhi, tra gli altri: il ballerino Roberto Bolle, l’attore Jeremy Irons, la performer Marina Abramovic, il musicista Enrico Rava, etc. che rilasciano una serie di dichiarazioni anche molto interessanti ma talvolta vagamente periferiche circa il fuoco del racconto. Tanto per capirci non ci viene risparmiata nemmeno una neuroscienziata, Hanna Poikonen, che spiega come tra l’artista sul palco e lo spettatore in platea, nelle occasioni migliori, si stabilisce una sorta di comunione spirituale quasi taumaturgica. Il tutto scandito e incardinato in mega-capitoli tematici (il demone, l’umiltà, l’impegno, la popolarità) che tentano ancora di ingabbiare questa presenza sciamanica in logiche interpretative che faticano davvero molto a comprenderla.

Tanto che – come si diceva – in definitiva, quel che resta più in mente alla fine della proiezione è proprio lo spirito magmatico e in ultima analisi inattingibile della Fracci; che promana dagli sguardi delle sue interpretazioni, dalla leggiadria dei suoi passi di danza o da certe sue dichiarazioni, insieme incerte e recise, rese quand’era ancora in vita. Come questa, per esempio: “Il pubblico deve capire che la danza non è solo ginnastica. Non sono solo piedi e gambe; ma c’è un pensiero, un cervello, dei sentimenti. La passione.”

In sala il 13-14-15 novembre


CREDITS & CAST

Codice Carla Regia: Daniele Luchetti; sceneggiatura: Daniele Luchetti; fotografia: Ivan Casalgrandi; montaggio: Silvia De Rose; con la partecipazione di: Roberto Bolle, Jeremy Irons, Marina Abramovic, Carolyn Carlson, Eleonora Abbagnato, Alessandra Ferri, Enrico Rava, Chiara Bersani; musiche: Atoms For Peace edite da Thom Yorke e Sam Petts-Davies; produzione: Anele e Luce Cinecittà con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 80 minuti; distribuzione: Nexo Digital

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