Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro

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Rivedere oggi, in occasione del restauro in 4k (e una didascalia iniziale tiene ad informarci che è stato un lavoro per cercare di restituire un’ immagine il più possibile vicina alla qualità dell’ originale in 35mm) Delicatessen (1991), prima co-regia di Jean-Pierre Jeunet e del disegnatore e illustratore Marc Caro, suscita subito una riflessione d’impatto e di sostanza: dagli unanimi entusiasmo e sorpresa suscitati al momento della sua apparizione al riconoscimento, in questa re-visione, di alcuni stilemi divenuti ricorrenti nell’ immaginario, o quanto meno nel gusto, di certo cinema che si muove un po’ programmaticamente tra autorialità e spettacolarità. E, ancor prima che il racconto abbia inizio, sono già le immagini ad annunciare una stratificazione di toni, livelli, generi: fantascienza, horror, thriller, grottesco, commedia sentimentale, perfino graphic novel che si incrociano nel perimetrato cortile del decadente condominio al centro del piccolo mondo non più antico ma post apocalittico (e già post moderno?), del quale il negozio di gastronomia del macellaio Clapet è il cuore marcio, feroce, antropofago; la carne che vi serve è infatti ricavata dai corpi degli stessi inquilini attirati nella notte fuori dai loro appartamenti dalle pareti scorticate e uccisi a colpi di mannaia.

L’atmosfera, se non brutalmente omicida,  è comunque mortifera con i chiaroscuri di quel perenne tramonto sul giallo arancione e la minaccia di un’acqua dal colore lagunare che esplode dalle tubature, nel velo di umidità che ricopre tutte le cose. Una condizione di precarietà deformata, enfatizzata, portata al parossismo del punto di vista del personaggio principale: l’ex clown Louison (con la faccia di gomma e il corpo snodato di Dominique Pinon, attore feticcio di Jeunet, nonché sorta di Jim Carrey ante litteram, tra l’ estrosità in emersione di The Mask e lo stupore in sottrazione di The Truman Show). Si procede dunque per gag e siparietti che concertano in senso letterale la ricchezza di elementi e di stimoli audiovisivi, come nella scena celebre – utilizzata anche come emblematico trailer del film – della stilizzata scena di sesso tre il manesco Clapet e la sua carnale amante, ritmata dai rumori delle molle del materasso e da tutti gli altri suoni provenienti dalle inquadrature incorniciate di quel palazzo vetrina; i tentativi di suicidio non riusciti di una maldestra coppia dall’ aspetto di parodistici intellettuali borghesi esistenzialisti (memorabile il triplice contemporaneo fallimento per impiccagione/sonniferi/sparo d’arma da fuoco) e il soave violoncello con cui Julie, la discrete figlia del macellaio, cerca di coprire la bruttura e il degrado generati dal padre.

Se si aggiunge la prospettiva sbilenca della macchina da presa e il barocco decor scenografico, si comprenderà l’effetto di saturazione dell’opera(zione), che sembra aver tracciato un segno declinato da longitudinali espressioni e sensibilità differenti: vengono in mente infatti lo statunitense Wes Anderson e il messicano Guillermo Del Toro che pur nella varietà degli approcci, dal minimalismo esistenzialista del primo all’epica della mostruosità del secondo, ha impresso una marchio di immediata riconoscibilità al loro sguardo, talune volte più ispirato, altre sintomo di un estetismo, un preziosismo, una maniera un po’ fumosa (o condensata se si vuole, visto che l’ acqua torna come elemento ricorrente). Ri-assistere alla sequenza subacquea del bacio tra Louison e Julie fa ri-saltare agli occhi la scena d’amore in immersione tra Sally Hawkins e la creatura anfibia in La forma dell’ acqua di Del Toro; così come tutti i combattimenti stilizzati, fumettistici, sullo (s)fondo delle ricomponibili scenografie in cartongesso e legno (ma con una dimensionalità più 3D) tra Louison e Clapet sembrano in risonanza con i successivi cartooneschi spostamenti spazio-temporali delle figure, a dire il vero decisamente più appiattiti su un’ orizzontalità non carnale ne fisica, di Anderson.

A posteriori si avverte dunque il rischio di un gioco che prende la mano fino a diventare un meccanismo, dell’ invenzione che prevale sulla visione, di una tendenza che vuole rendere la diversità, l’eccentricità, finanche l’emarginazione attraente e digeribile (ossimoro concettuale per un film sul degrado alimentare come questo…) e non tanto perturbante e problematica su un piano politico. Ci sono in effetti i protomi di quella poetica della carineria e dell’ ammiccamento che toccherà il suo apice nel musetto di Audrey Tatou ne Il favoloso mondo di Amélie, ma c’è al tempo stesso la capacità e la libertà di creare scene molto attraenti su un piano di pura piacere della visione: tra le altre, quella in cui Julie scende negli allagati sotterranei e improvvisamente viene circondata dai “trogloditi”, vegetariani in tenuta da sub che vogliano aiutare la ragazza e spodestare il regno di terrore di Clapet e salvare Louison.

Il nodo che rimane da sciogliere, e che torna a porsi, è quanto la portata di fascinazione estetica risucchi lo spessore di una pur suggestiva e laconica riflessione su un’umanità, della quale Louison, pagliaccio privato del suo trucco e dea sua scimmia, partner in scena e contro parte animale, ne è la tragicomica incarnazione, ridotta ai minimi termini di una performance che è solo pantomima e proiezione.

L’attenzione di Jeunet per la deriva tecnologica e scientifica, per l’abuso umano delle risorse del corpo e del pianeta, terra ed extra terra, e la minaccia di un nuovo medioevo appare autentica e a tratti centrata (la sua più riuscita rappresentazione sarà contenuta probabilmente nella scena degli spaventosi multi cloni di Ripley/Sigourney Weaver in Alien 4).

Ma la sensazione di sazietà che Delicatessen lascia al termine della fruizione e consumazione di questa grande abbuffata è la possibile (?) grazia di un duetto sentimental-musicale sopra il tetto dei piccoli orrori di un futuro così lontano e così vicino.

Come dire: don’t worry, il destino del mondo può essere sempre favoloso….

In sala dal 20 novembre 2023 – qui l’elenco delle sale che lo programmano: https://iwonderpictures.it/classics/

 


Delicatessen  – Regia: Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro; sceneggiatura: Jean-Pierre Jeunet, Marc Caro, Gilles Adrien; fotografia: Darius Khondij; montaggio: Herve Schneid; musica: Carlos D’Alessio; interpreti: Dominique Pinon, Marie-Laure Dougnac, Jean-Claude Dreyfus, Rufus, Karin Viard, Ticky Holgado, Marc Caro; produzione: Claudie Ossard per UGC, Hachette Premiere e Victoires Productions; origine: Francia, 1991; durata: 99 minuti; distribuzione: I Wonder classics.

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