Denti da Squalo di Davide Gentile

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Il lungometraggio d’esordio di Davide Gentile è un racconto di formazione e crescita ambientato nella periferia di Roma, una riuscita mescolanza di atmosfere che, però, non sfocia nel pastiche. Già, perché Denti da Squalo è un film che osa solo fino a dove gli è concesso, e, pur mantenendo una certa schematicità narrativa ed una morale di fondo leggermente pedante, riesce a trovare una sua discreta originalità.  

Ma partiamo dall’inizio. Nove anni fa, Valerio Cilio e Gianluca Leoncini vincono il Premio Solinas con la sceneggiatura intitolata Il ragazzino con i denti da squalo (titolo originale L’estate di Walter). I due però, nonostante il riconoscimento, non erano convinti del risultato, sentivano che poteva essere migliore, e così, alla richiesta dei produttori di poterla utilizzare i due accampavano scuse “non è pronta, va riscritta” e così via. Nel mentre passano gli anni, e grazie anche al riconoscimento del premio, la coppia comincia a lavorare nel campo della sceneggiatura, ed il copione de Il ragazzino con i denti da squalo finisce nel dimenticatoio. 

Questo fino a che non arriva Gabriele Mainetti, e sua casa di produzione Goon Films. I due autori raccontano: “ci ha chiesto se avessimo una storia, gli abbiamo raccontato Il ragazzino con i denti da squalo in cinque secondi, e lui il giorno dopo ha detto di volerla comprare” 

Mettere al timone Davide Gentile si è rivelata una scelta azzeccata, food for thought, il precedente corto di Gentile, metteva in evidenza, al contempo, una forte vitalità visiva con una certa pochezza dal punto di vista della scrittura e del messaggio allegorico che vi era contenuto. Proprio per questa ragione, uno come il neoregista milanese al servizio di una sceneggiatura solida era il connubio migliore che si potesse sperare. 

Più che una fiaba intesa come la vita senza questioni minori o impicci laterali, ma dai risvolti cupi, con deformazioni paranoiche della realtà-tipico della poetica dei fratelli Innocenzo, ad esempio; qui si effettua l’operazione inversa: le atmosfere realiste vengono alleggerite da elementi di fiaba, a livello narrativo, e non visivo, in un’opera che si discosta dichiaratamente dal reale, o perlomeno dal reale convenzionale.

I due protagonisti, infatti, Walter e Carlo (Tiziano Menichelli e Stefano Rosci) sono due ragazzini che si ritrovano a frequentare clandestinamente la villa temporaneamente vuota di un famoso Boss, detto il corsaro (Edoardo Pesce). Ebbene, la piscina di questa villa contiene un ospite piuttosto singolare, che farà da veicolo simbolico ed emotivo di tutto il film: un enorme vecchio squalo, infelice, imprigionato, che, come si vedrà, non riesce più ad incutere timore. Quello squalo è legato da un filo invisibile alla figura del padre di Walter, morto in maniera ingloriosa dopo aver salvato un collega, ma con alle spalle un passato glorioso da criminale. Questo, perlomeno, è come Walter interpreta la faccenda. Il padre si manifesta al ragazzino tramite una serie di sequenze pseudo oniriche, e i due riflettono sulle domande che non hanno mai avuto risposta del loro rapporto, e che mai ne avranno, ma che permetteranno a Walter di modificare la narrativa del passato di suo padre. 

Virginia Raffaele

Il cuore e l’anima del film stanno nel rapporto tra Walter e Carlo, in come si evolve e come si sviluppa, ed è l’aspetto che più di ogni altra cosa mostra una certa maturità nella sceneggiatura. Ogni volta in cui si ipotizza uno scenario ed una conseguenza, la storia e il rapporto tra i due prende un’altra piega e mostra di riuscire ad affrancarsi dalla tentazione del prevedibile, e, soprattutto, che è plausibile un’altra narrativa, che non cerca di seguire binari prestabiliti dal solco di decine di pellicole già viste (la spirale di criminalità che divora e corrompe l’anima inquieta del piccolo ragazzino). Le personalità dei due sono definite con pochi e semplici tratti, ma si integrano e si muovono con naturalezza all’interno del contesto e delle situazioni. Certo, non manca qualche momento superfluo o derivativo nell’illustrare l’amicizia, ma non disturba eccessivamente, e si finisce a considerarlo quasi un “male necessario” date anche le aspettative e le esigenze di un certo tipo di pubblico.  

Sul finale, il film molto intelligentemente preme maggiormente sull’aspetto favolistico, in un crescendo ben costruito riporta alla mente tutti quei film di avventura in cui si lotta contro il tempo per portare a termine qualcosa di incredibile, che solo pochi istanti prima pareva assurdo, ed improvvisamente, grazie ad una straordinaria serie di congiunture, diviene realtà.  

Brava Virginia Raffaele, per la prima volta nelle vesti di un personaggio drammatico. Claudio Santamaria invece, interpreta il padre, (o meglio, il suo fantasma) un personaggio leggermente scontato nel messaggio di redenzione che veicola, ma non ne facciamo certo una colpa all’attore. Curiosamente, la stesura originale della sceneggiatura prevedeva molto più spazio al padre, potremmo quindi ipotizzare una complessità maggiore che avrebbe potuto risollevarne le sorti. Colonna sonora originale ad opera dello stesso Mainetti e Michele Braga, Fotografato con estrema vivacità da Ivan Casalgrandi, I cui colori vividi e brillanti contribuiscono a dare un lievissimo, quasi impercettibile, sapore psichedelico alla pellicola. 

In sala dall’ 8 giugno 2023 


Denti da squalo Regia: Davide Gentile; sceneggiatura: Valerio Cilio, Gianluca Leoncini;  fotografia: Ivan Casalgrandi; montaggio: Tommaso Gallone; musica: Michele Braga; interpreti: Tiziano Menichelli, Virginia Raffaele, Stefano Rosci, Matteo Scattaretico, Edoardo Pesce, Claudio Santamaria; produzione: Goon Films,  Lucky Red, Ideacinema con Rai Cinema; origine: Italia 2023; durata: 104 minuti; distribuzione: Lucky Red.

 

 

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