Festa del cinema di Roma: Infinito-L’universo di Luigi Ghirri di Matteo Parisini (Freestyle)

Lo spazio e il tempo: sembrano queste le due categorie necessarie per comprendere le immagini di un fotografo tanto influente e riconoscibile dallo sguardo, quanto sfuggente e misterioso nella sua essenza più intima, come Luigi Ghirri. E il documentario a lui dedicato diretto da Matteo Parisini e presentato in questi giorni alla Festa del cinema di Roma (sezione Freestyle) segue questa direzione fin dal titolo Infinito.L’universo di Luigi Ghirri e soprattutto dall’incipit: quell’immagine della terra vista dalla luna durante la prima spedizione spaziale del 1969 che, come recita la voce narrante di Stefano Accorsi chiamata ad esprimere i pensieri dell’autore, metteva in relazione l’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande, individuando nell’infinitamente complesso, ovvero la vita dell’uomo, una doppia prospettiva tra il dentro e il fuori, la tensione cosmica verso il kantiano cielo stellato sopra di noi e il ritorno a una dimensione del pensiero più privata ma comunque espansa che Giordano Bruno, citato da Ghirri, aveva chiamato stanze della memoria , ovvero dei luoghi mentali collegati tra di loro e depositari delle memorie che sono al tempo stesso personali e collettive.

Si tratta di uno dei passaggi più significativi di questo docufilm che ha apparentemente l’aria sommessa e sottotraccia di un reportage che vuole comprendere la personalità di un artista visionario scomparso troppo presto e troppo improvvisamente (nel ’92 a 49 anni, per un infarto ) attraverso il classico alternarsi di testimonianze tra il personale e il creativo ( anzi, creando una sovrapposizione/sovraesposizione tra i due aspetti) nelle parole di altri fotografi, pittori, collaboratori, critici d’arte, ma anche della sorella, dellla cognata e della figlia; c’è però una volontà, più profonda e ambiziosa, di restituire, in questo racconto che si ascolta non solo con le parole di chi lo conosceva bene, ma anche nei suoni di sottofondo, usati come commento sonoro agli scatti di composizioni paesaggistiche spesso ispirati dall’esplorazione della sua natia pianura padana, un sentimento ancor prima di un significato e di una poetica.

La genesi della visione di Ghirri, quando lui stesso definiva fondamentale la sua formazione come geometria per poter applicare l’attitudine alla realizzazione di un progetto nell’inquadrare il paesaggio in una forma, risiede altresì in quel sentimento: non esauribile nella staticità struggente e sublimata di un ricordo, di un momento irripetibile e immagazzinato nella mente-database, o eternizzato in un click . Comprendendo profondamente la nozione di memoria del filosofo Bruno, per Ghirri tutto quello che siamo portati a vedere è in risonanza con il nostro vissuto, la nostra esperienza, la nostra storia; e diventa uno spazio all’interno del quale possiamo nutrire e trasformare la nostra immaginazione, ovvero la percezione che abbiamo della realtà attraverso i nostri ricordi, i nostri pensieri e, appunto, i nostri sentimenti.

Per questo Matteo Parisini, continuando a seguire  il connubio di logica e sensibilità,  profondità di campo nell’atto del vedere e verticalità seminale in quello del sentire appartenenti all’ immagine ghirriana, crea una continuità con le situazioni e i luoghi descritti nelle foto. E le riprese realizzate dal regista annullano ulteriormente qualsiasi limitante connotazione temporale, con tutti i qui ed ora di ogni passato, presente e futuro in dialettica tra di loro . Lo stesso lavoro , da un punto di vista estetico , è fatto anche sui materiali di repertorio presi dall’Archivio Eredi Ghirri, dove la figura del fotografo che si muove tra i posti familiari della sua ispirazione, potrebbero essere state girate anche ieri, tanto emergono vive, luminose, attuali. E non è solo per un fattore discorsivo o esplicativo che nel periodo precedente ho ripetuto tante volte il termine “nostri”: il senso  di appartenenza a una comunità  si manifestava in maniera inizialmente cosi spiazzante e , infine, così profondo ed empatico nelle sue fotografie da offrire il ciclo completo di un’esperienza estetica, ovvero la rivelazione di un punto di vista sempre diverso e il riconoscerlo ogni volta  come proprio, nella stratificazione dove si è se stessi in un mare aperto di possibilità, interpretazioni, variazioni ( memorabile la quantità di figure umane fotografate di spalle proprio per concedere  questa ricchezza e libertà immaginifica sui volti e le espressioni).

È vero poi che in un documentario come questo, che ha anche una funzione divulgativa e informativa, il confine su dove prevalga la forza e il fascino del personaggio e della sua opera, al di là di un qualsiasi ulteriore sguardo che vi si metta in relazione, lascia sempre un dubbio : è il cosa o il come che ci hanno conquistati? Parisini compie delle scelte intelligenti, se non sempre particolarmente inventive,  in quanto non si avverte mai la laica beatificazione dell’artista morto di assoluto e celebrato sullo scranno retorico di un culto senza ombre e senza luci.

Ci si concentra più sul fotografo e sulla formazione in progress della sua forma mentis, e della naturalezza in cui questa ha trovato una sua realizzazione compiuta nell’obiettivo di una macchina fotografica. Nello stupore stralunato e minimalista delle musiche di Simonluca Laitempergher (a volte troppo ingombranti, come a voler creare e sottolineare un’atmosfera che da intrigante rischia di diventare irritante e stucchevole) si percepisce l’altrove costante e perpetuo nel quale si muoveva Ghirri, quella diversità che aveva visto nei suoi occhi la seconda moglie Paola Borgonzoni quando, appena diciannovenne, lo aveva conosciuto e se ne era innamorata ( nel racconto molto tenero che ne fa la sorella di Paola, scomparsa nel 2011)  e che la rimandava a sua volta alla curiosità infantile e primigenia provata nei confronti della vita.

Purtroppo la zona del possibile e dell’impossibile tra il microscopio e il telescopio è solo suggerita ed evocata, lasciando la voglia, piuttosto frustrata , di afferrarla e visualizzarla con maggiore rilievo, precisione, intensità. Come se la necessità di far stare Ghirri  “ un po’ più con i piedi per terra” (come dice la sorella) facesse un po’ sparire la simultaneità dei sogni ad occhi aperti nella durata più convenzionale di un inizio e di una conclusione . Poi per fortuna quella fine è moltiplicata per tutte le angolazioni e sfumature di azzurro da cui poter guardare il cielo, tra il nitido bianco e nero di un album di famiglia e lo splendore cromatico degli oceani e dell’universo.


Infinito – L’universo di Luigi Ghirri  –  Regia e montaggio: Matteo Parisini; Fotografia: Luca Nervegna; Musiche: Simonluca Laitempergher; Voce narrante: Stefano Accorsi;  Produzione: Lorenzo Cioffi per Ladoc; Durata: 73′; Origine: Italia,2022; Distribuzione: Rai Com

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