Festa di Roma: Jeff Koons – Un ritratto privato di Pappi Corsicato (Freestyle)

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Abbiamo avuto modo, seguendo quella che è la magnifica e avventurosa storia-ossessione delle immagini in movimento, di imbatterci in intese-collaborazioni-sodalizzi tra due enormi personalità che a volte (già sulla carta) ci sembravano vicinissime, a volte lontanissime. Solo per citare alcuni esempi (e così provare a precisare ciò a cui si intende rimandare), riguardo i “vicinissimi” basti pensare a BergmanTarkovskij (il secondo girò l’ultimo suo film del 1986, Sacrificio, in Svezia proprio perché il primo se ne prese in qualche modo carico, per non parlare poi delle affascinanti pagine del suo diario scritto in cui si analizza il cinema del maestro russo!), OzuWenders (qui il secondo dedica nel 1985 al primo forse uno tra i più convincenti film-documentari intorno a un “collega” che siano mai stati girati), SokurovTarkovskij (appena due anni dopo la morte del primo, il secondo realizza il suo lavoro forse più lirico: Elegia moscovita del 1988); riguardo i “lontanissimi”, invece, si pensi a ChaplinKeaton (i due giganti, i due vulcani che in maniera diversissima hanno mostrato sullo schermo tutto il nostro umano essere incongruente alla vita, l’uno di fronte all’altro insieme nel 1952 per Luci della ribalta), HitchcockTruffaut (probabilmente resterà per eccellenza l’unica-vera-epocale intervista (poi libro) quella notissima che il secondo rivolge al primo nel 1966), HerzogKinski (Kinski, il mio nemico più caro del 1999, dove è vero che senza l’agire in scena dell’uno non ci sarebbe stata buona parte del cinema dell’altro, eppure due linee parallele che non “si incontrano” in realtà mai).

Questo film sulla vita e l’opera di Jeff Koons girato da Pappi Corsicato, presente alla Festa del Cinema di Roma 2023, ci sembra poter rientrare più tra i “così vicini” che tra i “così lontani”. Due sensibilità, due visioni dell’arte, due modi di vivere la creatività, sostanzialmente della medesima generazione, che felicemente dialogano in armonia e s’incontrano nell’occhio della m.d.p. Sì, è possibile partire da qui nel proporre al lettore alcune considerazioni su questo documentario. Certamente il colore ha giocato un ruolo fondamentale a favore, almeno a modo di vedere di chi scrive. Per meglio dire, anzi, i colori che sono sempre iper-presenti nelle soluzioni delle opere sia dell’uno che dell’altro, nonostante il corso del tempo che cambia e fa mutare le sensazioni. Il colore è la cifra forse suprema di questo incontro, il colore come abito mai sostituibile della vita, quella di tutti i giorni, quella vissuta, consumata, logorata pure. E se l’infinita e variopinta gamma dei colori viene a essere quella piattaforma che consente qui questo legame artistico immediatamente captato dallo spettatore, allora è come se vi fossero le condizioni per cui l’obiettivo di Corsicato, sentendosi a suo agio negli spazi creativi di Koons, si lascia andare benissimo nel seguire le linee intime del sentimento e quelle della ricerca dell’artista statunitense. Ed è da questa concordia visiva che il film felicemente prende le mosse. Tutto questo viene confermato dal fatto che alle immagini girate dal regista partenopeo si alternano quelle uscite fuori dall’archivio di famiglia di Koons, che lo raffigurano sin da bambino ripreso in vacanza al mare e soprattutto durante le feste in casa per celebrare un anniversario o un Natale. In particolare, in queste immagini allegre e gioiose in/di famiglia, piene di decorazioni tra festoni e palloncini gonfiabili (veniamo così a scoprire che il padre era un decoratore e la madre una sarta, dettagli non indifferenti già per il piccolo Koons), torte e pasticcini, volti sorridenti diretti verso la cinepresa a mano per voler e quasi dover immortalare quel giorno particolare che in qualche modo salva tutto il resto: ebbene ci pare di poter dire che lì si trova il primo canovaccio della sua arte.

È lo stesso Koons che ricorda i tempi della sua infanzia come un qualcosa che è sempre stato costante nella sua vita d’artista (e di uomo). Quell’esaltazione della segreta vita familiare, fatta di cappellini, coriandoli, vestini per la festa, dove tutte le generazioni s’incontrano per celebrare (si pensi appunto che il titolo di un primo ciclo di lavori è Celebration) sì un compleanno o qualcosa di simile, ma in fondo diviene questa l’occasione per accettare con forte convinzione le proprie condizioni di vita, le proprie radici, il particolare contesto dove si è venuti al mondo. Forse in ciò è possibile rintracciare un aspetto che ci aiuta a vedere l’opera di Koons, fatto di quel kitsch così spesso richiamato dalla critica, ma che in realtà è appena lo scenario della sua arte, non la sostanza che invece ci pare poter essere il guardare a quel piccolo mondo borghese con fiducia, con cura e, perché no, anche con vivo entusiasmo. In questo senso è possibile cogliere il significato di alcune sue affermazioni del tipo, “l’arte mi ha aiutato a definirmi” trovando “nell’accettazione del passato, delle mie origini ciò che è utile alla mia crescita artistica”. In tale direzione possiamo accogliere allora il binomio arte-famiglia così tanto presente nel film. Dunque, da un lato accettare la vita che più che costruirla, la riceviamo, dall’altro esaltare se stessi nella convinzione (forse questa “americana, troppo americana” e anche un po’ sostenuta da una certa psicanalisi) che tutti noi ce la possiamo fare, anzi ce la dobbiamo fare.

Anche nei lavori con Ilona Staller (in arte Cicciolina, sua moglie per un breve periodo, soli due anni e mezzo), vi ritroviamo, semmai in soluzioni più radicali, questi stessi temi: qui è invece l’esaltazione del corpo, delle sue imperfezioni e delle sue promesse non mantenute con cui bisognare fare i conti senza cercare vie traverse, insomma di mezzo. E così per Koons la bellezza attraverso la rivisitazione dell’opera d’arte è connessione tra noi simili, è la migliore opportunità per unirci nel significato del nostro essere umani. Per condividerla c’è bisogno di fare esperienza, soprattutto di ciò che si presenta sempre come nuovo, aprendosi in modo ampissimo ogni volta, come se fosse sempre un giorno solenne. Anche se poi nasconde semmai qualche noia o accidente che deve essere superato, che deve essere lasciato alle spalle. Ma va bene così.

Ecco, se si volesse fare un volo pindarico ritornando al cinema, si potrebbe dire che tutta l’arte di Koons sta agli antipodi del cinema di Claude Chabrol, per esempio. Lì dove quest’ultimo pur interessandosi allo stesso oggetto, gli scenari della borghesia, ne ha messo in rilievo i suoi chiaro-scuri, mentre Koons i suoi, appunto, colori. Per concludere, due brevi note critiche. Da un punto di vista di messa in scena, quello che funziona davvero molto bene è come Corsicato sceglie di filmare soprattutto le opere istallate negli spazi museali e di gallerie. Opta, il più delle volte, tramite movimenti lenti o per girarci intorno o per avvicinarsi da lontano. Questa soluzione produce un effetto alquanto efficace nel film per la fruizione dello spettatore. Inoltre è interessantissimo notare che Koons, come si viene a sapere, nel suo studio lavora con i suoi assistenti riproducendo in scala le sale degli spazi espositivi in plastici. Ma non in formato digitale, bensì materialmente. Venendo così a confermare che probabilmente qualsiasi luogo, immaginato o reale, oltre che visto va anche e soprattutto toccato. Solo così lo si può “avere tra le mani” per ripensarlo e indicare nuove traiettorie visive e, quindi, nuove prospettive. Ovvero, new moving adventures in/for life!

In sala il 23-24-25 ottobre 2023


Jeff Koons – Un ritratto privato – Regia: Pappi Corsicato; sceneggiatura: Pappi Corsicato; montaggio: Natalie Cristiani; musica: Enrico Gabrielli; sound design: Paolo Piccardo; interpreti: Jeff Koons (se stesso), membri della sua famiglia; produzione: Nexo Digital; origine: Italia, 2023; durata: 79 minuti; distribuzione: Nexo Digital.

 

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