Filmmakers (Milano, 18-27 novembre): The Natural History of Destruction di Sergei Loznitsa

  • Voto


Ci sono dei film per i quali non basta una visione immediata ma che richiedono, forse, al di  là anche del primo fondamentale impatto emotivo, un supplemento di indagine e di approfondimento per capirli e valutarli meglio. Ne è un caso evidente Esterno notte  di Marco Bellocchio di recente passato anche in televisione. Ma anche a nostro avviso The Natural History of Destruction di Sergei Loznitsa scelto – ed è stata una scelta molto buona –  come film d’apertura del Festival Filmmaker  (Milano, 18/27 novembre, qui il programma) che per altro dedica una retrospettiva ad un altro grande autore di documentari moderni, la viennese Ruth Beckermann (classe 1952) di cui torneremo a parlare.
Contravvenendo quindi alle consuete regole delle recensioni siamo costretti a fare alcune lunghe ma per noi necessarie premesse prima di entrare in media res del film.

I

Innanzitutto qualche informazione biografica: nato nell’Unione Sovietica nel 1964, a Baranavičy, in Bielorussia, Loznitsa si trasferisce con la famiglia a Kiev, poi studia al VGIK, la celebre scuola di Cinema di Mosca sotto la direzione della cineasta georgiana Nana Džordžadze. Dal 2001 quando inizia all’incirca a realizzare dei film, si trasferisce a Berlino dove ancor oggi continua a vivere  – e con la cultura della Germania (nonché con la sua produzione)  ha sempre mantenuto un forte rapporto. Possiede la cittadinanza ucraina ma ha girato quasi sempre in russo ad eccezione di Majdan (presentato al Festival di Cannes del 2014), in cui ha documentato la  rivolta civile contro il regime del presidente dell’Ucraina Viktor Fedorovyč Janukovyč iniziata nel novembre 2013 appunto a Majdan Nezaležnosti, la piazza centrale di Kiev.
Diventato ormai da anni uno dei più noti e importanti documentaristi internazionali, Loznitsa attualmente si definisce come un cosmopolita, un cittadino del mondo. Le sue prese di posizione politiche di quest’anno hanno destato scalpore: il 28 febbraio 2022 ha lasciato il board dell’European Film Academy (EFA) perché l’istituzione, in un comunicato,  è stata “troppo morbida nella presa di posizione contro la Russia”. Poi all’annuncio del 1º marzo che l’EFA avrebbe escluso i film di produzione russa dagli European Film Awards, ha solidarizzato con i colleghi dissidenti, sostenendo che  “molti amici e colleghi, cineasti russi, hanno preso posizione contro questa folle guerra, sono anche loro vittime di quest’aggressione […] bisognerebbe giudicare le persone in base alle loro azioni e non al loro passaporto.”
Paradossalmente poi qualche giorno dopo, il 19 marzo, è stato espulso dall’ Accademia del cinema ucraino per la sua opposizione al boicottaggio dell’industria culturale russa e per altre posizioni “eticamente contrarie ai principi dell’Accademia”, tra cui l’aver “ripetutamente sottolineato il suo considerarsi un cosmopolita, un ‘cittadino del mondo’”. Al che Loznitsa ha replicato definendo l’accento messo dall’Accademia ucraina sull’identità nazionale come di tipo “nazista” e un “regalo ai propagandisti del Cremlino”. Insomma, sulla sua pelle e con le sue idee che si potrebbero definire, con un termine forse desueto, da “internazionalista”,  ha vissuto e sta vivendo i paradossi, le contraddizioni della terribile guerra Russia-Ucraina.
Sempre nel 2022 ha realizzato due film uno dei quali lo abbiamo già recensito a settembre dal Festival di Venezia, The Kiev Trail  mentre l’altro appunto The Natural History of Destruction era stato presentato a maggio al Festival di Cannes nella sezioni delle Proiezioni speciali e ora riproposto in anteprima italiana a Filmmaker.
Secondo punto: si diceva del suo legame con la cultura tedesca e per la precisione con uno dei suoi più maggiori scrittori e saggisti contemporanei Winfried Georg Sebald (1944 – 2001), tragicamente deceduto a meno di sessant’anni in un incidente stradale e possibile candidato al Nobel. Già in Austerlitz (2016), Loznitsa  aveva preso il titolo e l’ispirazione dall’omonimo romanzo dell’autore bavarese (2001, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2002), l’ultimo scritto in vita dello scrittore e considerato il suo capolavoro. Stessa cosa avviene poi con ancor più aderenza ideologica riguardo al volume  Luftkrieg und Literatur più noto per il suo titolo inglese uscito (paradossalmente) in occasione dell’invasione americana in Irak: On the Natural History of Destruction.
Da W.G. Sebald come amava chiamarsi rifiutando i due nomi di battesimo, quindi, Lotznitsa riprende il nucleo centrale delle opere: il tema della memoria e dei ricordi, personali e collettivi nell’intenzione di compiere una Vergangenheitsbewältigung riguardo al  trauma della Seconda guerra mondiale e dei suoi effetti sul popolo tedesco oltre che sull’orrore dell’Olocausto.

II

Non è un caso dunque che il filmmaker ucraino/internazionalista in questo ultimo biennio abbia realizzato una trilogia di puri film di montaggio dove concentrandosi sulle vicende della Seconda guerra mondiale, apparentemente si allontana dall’attualità. Il primo di essi è Babij Jar. Kontekst  (presentato al Festival di Cannes del 2021) in cui si ricostruiscono gli eventi che portarono al massacro di 33 771 ebrei nella Kiev occupata dai tedeschi nel settembre 1941 mentre l’ultimo, direttamente collegato, è il già citato The Kiev Trail, dove si documenta la “Norimberga di Kiev” in cui vennero processati e condannati a morte quindici militari tedeschi colpevoli di atrocità “commesse dagli invasori fascisti nel territorio della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina”.

E veniamo finalmente a The Natural History of Destruction ispirato direttamente sin dal titolo al libro di Sebald. E cioè come si legge nel risvolto di copertina della traduzione italiana (Storia naturale della distruzione, Adelphi 2004):  “per molti anni, anzi quasi fino a oggi, vi è stato in Germania un argomento tabù per eccellenza: la distruzione senza precedenti causata nella seconda guerra mondiale da oltre un milione di tonnellate di bombe, che piovvero su centotrentuno città tedesche provocando seicentomila morti fra i civili e sette milioni di senzatetto. Poiché i tedeschi erano colpevoli e dovevano elaborare la loro colpa, ciò che un intero popolo aveva patito era destinato a passare sotto silenzio. Quando nel 1997 Sebald trattò questo tema in una serie di memorabili lezioni a Zurigo – ed erano lezioni, si badi bene, di poetica –, sapeva benissimo di toccare un nervo scoperto”.    
È quindi il tema della legittimità morale dell’uso indiscriminato dei bombardamenti sulla popolazione civile quello che Sergei Loznitsa affronta nel suo documentario di puro montaggio, mettendo a confronto la guerra aerea sull’uno e sull’altro fronte. Costruito come una sinfonia di immagini talvolta scandita e commentata – in un tappeto sonoro fatto soprattutto di rumori – dall’efficace musica dell’olandese Christiaan Verbeek, The Natural History of Destruction inizia con un Preludio dove si mostrano immagini pacifiche della Germania nazista prima della guerra: uno Zeppelin che vola, la Berlino degli anni Trenta, gente che si diverte in Lederhosen o si intrattiene nelle Kneipen sotto lo sguardo austero dei ritratti del Führer. E termina in un drammaticissimo Gran finale con una lunga, interminabile sequenza aerea dall’alto sulla macerie delle città tedesche.

All’Intro con la pace segue un secondo movimento quasi astratto dei bombardamenti notturni e le bombe che esplodono. E poi, spesso intervallate da dissolvenze in nero, un enorme numero di devastazioni urbane (per esempio a Berlino o alla stazione ferroviaria di Amburgo ma anche quella di Coventry completamente spianata e con essa la Cattedrale di San Michele all’alba del 15 novembre  1940) e ancora: la costruzione o l’armamento degli aerei, i soldati americani con le jeep, ecc. Tante tantissime bombe e scene di guerra aerea da una parte e dall’altra e immani distruzioni, narrate senza alcun commento off o cronologia storica tramite immagini restaurate in uno splendido b&n ma anche a colori o colorizzate.
In questo scenario di macchine e macerie, quasi astratto, alla Walther Ruttmann, si inseriscono e si vedono voci e personaggi storici: il massimo direttore d’orchestra tedesco Wilhelm Furtwängler il cui rapporto con il nazismo fu particolarmente ambiguo, a dirigere un concerto in fabbrica dei wagneriani Maestri cantori di Norimberga; Winston Churchill che chiude un discorso con le celebri parole “vincere o morire”; il generale Bernard Law Montgomery in un comizio sull’importanza del “Fronte interno”; il comandante Arthur Travers Harris, detto “Bomber Harris” o “Butcher Harris” lo spietato teorico dei bombardamenti sistematici notturni sulla Germania che annunzia la sua strategia:“Quando la tempesta scoppierà sulla Germania, i tedeschi guarderanno ai giorni di Lubecca, Rostock e Colonia come un uomo, colto dalle raffiche di un uragano, guarderebbe ai dolci zefiri dell’estate scorsa. In molti sostengono che le guerre non si vincono con i bombardamenti. La mia risposta è che nessuno ci ha mai provato. La Germania servirà da primo esperimento. Hanno seminato vento e ora raccoglieranno tempesta» – una strategia devastatrice che aveva sollevato già all’epoca e anche nel dopoguerra forti polemiche; o ancora il maresciallo dell’aria Hermann Göring che visita la popolazione civile.
Ma soprattutto si vedono file e file di civili che portano via la loro poche cose dalle case distrutte, sguardi disperati privi di speranza nel futuro – sono immagini tragiche che a qualunque cinefilo italiano ricordano quelle toccanti  di Germania anno zero (1948) di Roberto Rossellini.  

Nel suo stile asciutto, in un “ritmo fluttuante e onirico”, privo di commento off, nel contrapporre i due fronti della II° Guerra mondiale, The Natural History of Destruction ci offre un quadro di sofferenza umana e delle logica spietata della guerra, senza cronologia storica e senza fronzoli.
C’è chi ha contestato questa prospettiva come “astrusa” e “sfuocata” per esempio Jessica Kiang  in una interessante recensione da Cannes su “Variety” che parla di inopportunità del film, augurandosi che “presto tornerà il momento in cui la contemplazione raffinata e distaccata delle tattiche di guerra di massa come tragedia vissuta da tutte le parti, indipendentemente dall’ideologia o dalla politica, sia un progetto degno di nota”.
A noi sembra invece il contrario. Raccontando le distruzioni dei bombardamenti indiscriminati di massa nel passato si parla e si interviene direttamente sul presente, alla attuale folle guerra quasi fratricida tra Russia e Ucraina. Chi non lo vede, è cieco come una talpa.


The Natural History of Destruction – Regia e sceneggiatura: Sergei Loznitsa;  montaggio: Danielius Kokanauskis; musica: Christiaan Verbeek; produzione: Regina Bouchehri, Gunnar Dedio, Uljana Kim, Sergei Loznitsa, Maria Choustova per LOOKSfilm, Studio Uljana Kim, Atoms & Void, Rundfunk Berlin-Brandenburg, Mitteldeutscher Rundfunk; origine: Germania/ Paesi Bassi/ Lituania, 2022; durata: 109’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *