Imaculat

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La Giuria Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” della 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Uberto Pasolini e composta da Martin Schweighofer e Amalia Ulman ha assegnato il Leone del Futuro (un premio che riguarda tutte le sezioni) a un film rumeno selezionato per le “Giornate degli Autori”, un film cinematograficamente molto interessante ma decisamente assai ostico, intitolato Imaculat, frutto della co-regia di Monica Stan e George Chiper-Lillemark.

Interessante perché rientra fra quei film claustrofobici, con una sostanziale unità di luogo, un’unità resa ancor più costrittiva dal fatto che nessuno dei personaggi è mai raffigurato nella sua interezza, non lo è la protagonista Daria interpretata dall’onnipresente Ana Dumitrașcu, non lo sono gli alti, numerosi, personaggi maschili che a lei si avvicinano con la più o meno chiara intenzione di prendere possesso di lei. Daria è una tossica, i primissimi minuti del film – programmatici di uno stile certamente rigorosissimo – la inquadrano in mezzo primo piano mentre è al centro di un’anamnesi-interrogatorio in vista di essere accolta di una struttura di recupero per tossici, le due voci fuori campo sono quelle della dottoressa, responsabile della struttura, e della madre di provenienza borghese e chiaramente felice che la figlia, eroinomane, in quella struttura venga accolta.

Sempre nell’interrogatorio iniziale apprendiamo che alla droga, Daria ci è arrivata per via del compagno Vlad che non vedremo mai, ma di cui sentiremo solo alla voce al telefono, anche perché, a sua volta tossico, si è anche macchiato di non meglio precisati crimini e da quel momento sconta una condanna in carcere.

La cosa curiosa e certamente sorprendente da qui in avanti è che la stessa struttura terapeutica sembrerebbe presentare elementi che la fanno assomigliare a una prigione, ma non tanto perché il personale infermieristico e di vigilanza eserciti chissà quale controllo sui degenti, anzi dopo l’interrogatorio iniziale di fatto il personale sparisce di scena, mettendo in grande crisi il paradigma realistico del film. Ciò che rende il centro simile a una prigione sono certe dinamiche di potere, la convivenza coatta e angusta fra i degenti, di cui Daria finisce per fare le spese perché c’è chi vuole esercitare una semi-paterna protezione su di lei, c’è chi vuole portarsela a letto, c’è chi le contrabbanda di soppiatto del metadone, chi le passa un cellulare per poter comunicare con Vlad, chi addirittura, pur non essendo tossico, si è fatto internare per rappresentare gli interessi dello stesso Vlad. In certi momenti la convivenza assume toni goliardico-grotteschi, in certi altri invece è il carattere marcatamente coercitivo e maschilista ad avere il sopravvento. E l’atteggiamento di Daria è contrassegnato da grande ambiguità, perché da un lato tutti questi uomini le fanno un gran spavento, dall’altro sembra che essa vada cercando protezione e una non meglio precisata forma di tenerezza, dimostrando che più ancora della droga è di questa mistura di protezione, seduzione di cui lei è fortemente dipendente.

Nell’insieme, tuttavia, la costellazione parzialmente sado-masochista appare dopo pochi minuti piuttosto chiara e i 114minuti del film risultano ridondanti e francamente noiosi, al netto della coerenza stilistica e al netto di quando dichiarato dalla regista, che una quindicina d’anni fa fu protagonista di una vicenda simile, di cui forse, scrivendo e girando questo film, si è finalmente liberata.


Cast & Credits

ImaculatRegia: Monica Stan e George Chiper-Lillemark; sceneggiatura: Monica Stan; fotografia: George Chiper-Lillemark; montaggio: Delia Oniga; interpreti: Ana Dumitrașcu, Vasile Pavel, Cezar Grumăzescu; produzione: Axel Film; origine: 2021, Romania; durata: 114′.

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