Un autre monde

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Philippe Lemesle (Vincent Lindon) è un dirigente. La cinepresa ce lo presenta in grande stile, ovvero: in piena seduta di divorzio. La roulette gira vorticosamente, generando senza tregua immagini ridotte a numeri ormai privi di valore. Nel giro dei primi dieci minuti, le tessere del domino si susseguono con velocità inaudita, lasciando cadere una moglie distrutta, due avvocati agguerriti, un marito in giacca e cravatta dallo sguardo perso e, dulcis in fundo, svariati incarti rigurgitanti cifre astronomiche. È così che Stéphane Brizé ci presenta le sue élites, riprendendo l’antica formula del pluripremiato dramma La legge del mercato, con cui il regista francese si fece conoscere al grande pubblico nel lontano 2015. Sbarcato da poco a Venezia e da poco ritornato in Patria (chissà perché) a mani vuote, Un autre monde seziona le fondamenta del fatiscente edificio contemporaneo, illuminando le crepe che ne rodono l’intonaco.

Basta gettare una rapida occhiata al primo scenario per afferrare il quotidiano dramma del nostro self-made man, giunto all’apice e insieme all’epilogo di un percorso a dir poco scosceso. La compagna piange, disorientata. Il volto dei figli appare irriconoscibile, l’ordinaria oasi domestica sprofonda in un’apatia sempre più tangibile. Perfino la routine lavorativa sembra giacere in uno stato di sonnolenza, come se l’aria fosse colma di un’attesa angosciata. Lo smarrimento e l’inquietudine iniziali si rapprendono, a poco a poco, sul viso degli impiegati, dei vicedirettori, dei sottoposti, in parole povere: di coloro ai quali è dato il permesso di soffrire. A Philippe questo privilegio (che in realtà è una croce) viene negato. Lui è il capo: cinismo, razionalità e indifferenza dovrebbero essere pane per i suoi denti. E invece no.

In men che non si dica, l’obiettivo rimescola le sue pedine e trasforma il leader in un semplice esecutore. Strato dopo strato, la pellicola attraversa la piramide sociale che lega i protagonisti ai comprimari, svelando con lenta imperturbabilità gli innumerevoli piani di cui si compone il castello civile che ci circonda. Il Re del mazzo è anch’egli un pedone: nel tentativo d’adeguare la propria azienda a standard globali più simili a folli chimere che non a mete accessibili, Philippe si perde in un calderone di riunioni, calcoli e corse contro il tempo. Quando la testa dell’idra (qui nei panni di un insolente boss americano) decide di sbranare i suoi simili, licenziando gran parte dei dipendenti per ottenere un ulteriore aumento del fatturato, il dirigente ripone sul tavolo da gioco il distintivo, tradendo una natura ben più umana di quanto non ci aspettassimo.

Quasi si trattasse di un complicato mantra collettivo, i personaggi recitano ossessivamente le medesime formule. Brizé traccia una parabola del neoliberalismo e dei suoi mostri, inscritti nell’eterna ipocrisia di formule magiche quali “coraggio”, “profitto”, “coerenza”, “impegno”, e così via. Le nuove generazioni non se la passano meglio e i figli di tale logica se ne stanno chiusi negli ospedali, listando gli oggetti, smembrando e ricontando le ore, riordinando l’entropia delle loro menti confuse, divorando improbabili volumi d’ingegneria che non serviranno mai a nulla. L’unica via di scampo è rappresentata, nel lungometraggio, da un breve quadretto domestico in cui genitori e ragazzi si misurano con l’equivalente automobilistico del celebre gioco indovina chi. Vedere gli adulti (grandi o piccoli che siano) divertirsi semplicemente imitando il ghigno delle macchine sfreccianti per la strada ci regala un sospiro di sollievo.

Forse anche Philippe prova una sensazione simile: poco dopo, difatti, osserviamo la tanto decantata impassibilità dirigenziale tramutarsi in sottile rivolta. L’uomo in giacca e cravatta si toglie la giacca e la cravatta, ma non senza un leggero dolore. L’abbandono definitivo della scrivania si verifica in occasione di un duro colloquio con i rappresentanti dei sindacati, i quali paiono aver digerito lo schema americano con maggiore facilità rispetto al frastornato direttore. Alla notizia del folle piano economico proposto dai vertici, gli impiegati si ribellano e registrano il forzato dissenso del loro capo, causandone il licenziamento e gettandosi inconsapevolmente nelle fauci dell’idra. Sullo sfondo aleggia l’imperativo della nostra era: “ognuno si difende come può” – ma Philippe, semplicemente, non può.


Cast & Credits

Un autre monde – Regia: Stéphane Brizé; sceneggiatura: Olivier Gorce, Stéphane Brizé; fotografia: Luigi Martinucci; montaggio: Anne Klotz; interpreti: Vincent Lindon (Philippe Lemesle), Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon, Marie Drucker; produzione: Nord-Ouest Films (Christophe Rossignon, Philip Boëffard), France 3 Cinéma, con Diaphana, Wild Bunch International, con la partecipazione di Canal +, Ciné +, France Télévisions, con Sofitvciné 7, La Banque Postale Image 13, Cineventure 5, Manon 10, con il supporto di Région Île-de-France, Région Nouvelle-Aquitaine and Département de Lot-et-Garonne, in partnership con CNC; origine: Francia 2021; durata: 96’.

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