L’avamposto di Edoardo Morabito

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Che cosa c’è tra la suggestiva aspettativa creata dall’immagine dei Pink Floyd che suonano in mezzo alla foresta amazzonica e il crepuscolare miraggio di qualche nota accennata e distante del celebre gruppo di Shine on you crazy diamond, all’indomani del tramontare di ogni sogno d’oro ? L’avamposto, il sorprendente documentario realizzato da Edoardo Morabito sulla figura trasparente ed insieme enigmatica di Christopher Clark, un attivista ambientalista , anzi un “eco guerriero” che ha dedicato la propria vita a tutelate dalla deturpazione e dalla sfruttamento una parte della foresta vergine nel profondo Brasile, racconta lo spazio e il tempo che attraversa questa concretissima utopia; e lo fa con una capacità costante di mantenere l’equilibrio tra lucidità e fascinazione, la meraviglia incontaminata e radicale di un paesaggio geografico e umano e le contraddizioni di un modello sociale e politico applicato che, per quanto con le migliori intenzioni, finisce per inquinare e pervertire lo spiritus loci di quell’habitat  e di chi lo popola.

Ma non c’è nessuna tesi, neanche sottintesa o allusa,   da dimostrare o da far tornare, lo sguardo e la voce di Morabito si posizionano in prima persona rispetto a Christopher “Chris”, dichiarandone l’iniziale curiosità e poi il sempre maggiore empatico coinvolgimento nell’esperienza unica,  e auspicabilmente replicabile, che ha provato a mettere in atto nelle regione brasiliana dello Xixuau, un microcosmo nel quale alle pratiche barbare e predatorie della deforestazione e della pesca di frodo, si sostituisce un modello anche economico alternativo,  di condivisione e integrazione.

Quando Morabito entra in contatto con la comunità dei cablocos , la popolazione meticcia emarginata sia dagli indios che dai brasiliani, della quale lo scozzese espatriato Chris si sente spontaneamente appartenente, la situazione sembra essere a un punto di svolta : grazie all’impegno ultraventennale di Clark, ed alcuni suoi contatti con filantropi occidentali, a Xixuau sono arrivati i protomi di un processo di civilizzazione, come un impianto per l’acqua corrente e la costruzione di una scuola. E per poter mantenere una forma di sostentamento e indipendenza finanziaria, lo stesso Chris ha introdotto un sistema di turismo eco sostenibile, l’unica entrata che rispetta l’etica su cui si vuole costruire questo mondo nuovo alla fine del mondo.

Un esperimento non immune da pressioni e contraddizioni, visto che una volta conosciuto il benessere con relativi accessori e confort prodotti da “quell’avamposto del benessere”, gli abitanti brameranno un maggiore soddisfacimento di bisogni indotti (incluso essere pagati per pulire la propria spazzatura fuori dalla porta). A prevalere non è dunque l’aspetto virtuoso e solidale auspicato da Chris, ma il graduale ritorno a forme di arricchimento indiscriminato e diseguale.

Per arginare questo sconcertante degrado , occorrerebbe che lo stato brasiliano assegni lo status di riserva e l’evento più eclatante e risonante, in senso letterale e figurato, che possa accelerare questa forma di riconoscimento e di tutela potrebbe essere proprio il concerto reunion della band di David Gilmour e Roger Waters (il film si apre proprio con Chris che videoregistra un messaggio per il suo “amico” David e lo aggiorna sullo stato delle cose).

A questo punto ci si aspetter il racconto in crescendo di un trionfo, ovvero il raggiungimento against all odds di un obiettivo apparentemente impossibile ma che, grazie alla tenacia, alla dedizione e all’amore incondizionato di Chris per quelle terre e il loro destino , nella cui porzione si riflette  anche il destino di un’umanità condannata ad essere risucchiata e prosciugata dall’ombra lunga e mutevole del capitalismo estrattivo, trova la sua più completa e compiuta realizzazione.

Ed è qui che c’è un graduale e quasi straniante slittamento percettivo che Morabito esprime nel suo puntuale pedinamento di Chris;  un movimento che sembra condurci in una direzione inaspettata e ambivalente nel suo oscillare tra un autentico, partecipe afflato per i suoi custodi e compagni cablocos dell’avamposto e per il conseguente futuro che sarà, e un’ossessione rivolta a voler trovare la conferma al proprio personale sogno di una cosa,  dove la dimensione individuale e quella collettiva, l’ idealismo romantico e il funzionale pragmatismo, demarcano il confine tra lo stare dentro una situazione e il farne, anche involontariamente, l’estensione di un immaginario egotico.

Il nostro eroe dei due mondi assume le dimensioni di un Fitzcarraldo meno esasperante ma altrettanto determinato che, restando in un traversale ambito musicale, vorrebbe far risuonare tra la verdeggiante scena originaria della giungla, ancora più vessata e segnata dalla catastrofe climatica rispetto ai tempi del capolavoro di Werner  Herzog, non più la voce lirica di Enrico Caruso sul palcoscenico di un irrealizzabile Teatro dell’ Opera, ma i decibel del rock progressivo della più significativa e iconica band della storia, su un altrettanto fantasmatico palco fatto di acqua e terra sabbiosa ( cosi come lo vediamo attraverso gli occhi estasiati di Chris che lo descrive immaginandolo nella prima inquadratura).

E la rappresentazione di quella sconfinata, divorante ambizione non è più una magniloquente nave incagliata tra le montagne, ma si è riversata, in una forma più frammentata e intima, nella carne e nel sangue di quell’uomo che vediamo incedere, non sconfinato ma sconfinante, prima tra le ampie distese in secca dei fiumi, con evocativi  inserti footage di un Chris più giovane e forte che rema attraverso ben altri manti acquatici e rigogliosa flora;  e poi tra le vie cosi sature e strette di una Londra estranea e straniante nel suo freddo design da scenografia per socialites , alla ricerca di finanziatori, sponsor, contatti eccellenti (a un certo punto sembra che debbano entrare in gioco anche Bianca Jagger e Brian May…)  per supportare il suo opus tecno-ecologista.

Appare però una ricerca che si fa man mano evanescente e lontana, un orizzonte perduto nelle sfumature dei rossi ora infuocati ora tenui di un mondo a parte;  lo stesso Morabito, osservando da dentro e da fuori, la  riconosce come la proiezione di un sogno, il sogno di Chris, nel quale lui stesso è voluto entrare, per “vedere il mondo come non è, invece che morire di tristezza”.

Forse questo avamposto non è altro che la meta al contrario del viaggio compiuto dal protagonista di Disco Boy, l’opera prima di Giacomo Abruzzese che tramite la sovrapposizione di un doppio sogno occidental-africano, metteva in scena sull’allucinata pista da ballo il rito perverso di una falsa coscienza post coloniale. Specularmente Chris, seguito dall’aderente, fisica ripresa corpo a corpo di Morabito, riporta sul terreno selvaggio le demistificazioni e gli scoramenti di una sublimale visione in corto circuito tra uno spirito rivoluzionario deflagrato definitivamente nell’onirismo e il seminale realismo umanista di un gesto ( pochi giorni prima della morte di Chris a Xixuau verrà finalmente riconosciuto lo stato di riserva protetta, anche senza che ci sia stato il concerto dei Pink Floyd). La testimonianza in progress di chi ha lottato per spostare un po’ più in là il momento di un apocalisse (qui o altrove ed ) ora.

In anteprima al Festival di Venezia 2023 (Giornate degli Autori)
In sala dal 26 febbraio 2023


L’avamposto – Regia e sceneggiatura: Edoardo Morabito; fotografia: Irma Vecchio, Edoardo Morabito; montaggio: Edoardo Morabito; musica: Vincenzo Gangi, Masmas; collaborazione alla scrittura e al montaggio: Alessandro Aniballi; interpreti: Christopher Clark; produzione: Giulia Achilli, Marco Alessi, Nathalia Scarton, Fernando Meirelles per Dugong Films; origine: Italia/Brasile, 2023; durata: 84’; distribuzione: Luce Cinecittà.

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