Gli incipit sono importanti, lo sapeva bene Márquez quando attaccò con
L’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati.
E faceva così presagire come sarebbero stati gli amori ai tempi del colera. Lo sa bene Valeria Bruni Tedeschi che ci porta tra i mandorli francesi, cioè tra gli amori contrastati di una generazione, quella degli anni ’80, che voleva sconvolgere il mondo e poi dal mondo è stata sconvolta. Ventenni famelici di sogni, vogliosi di bruciare giorni e anni perché la vita ha due possibilità: o si vive felici o si vive da attrici. E questa seconda vita è quella che la regista racconta in questo film, prima in modo armonioso e nostalgico seguendo le briciole di memorie, poi lasciandosi andare a qualche pecca di ego-biografismo e rompendo in parte quel clima fatato, naturale eppure caramelloso, costruito in una ora e mezza di film. Il prodotto è quindi vivo, se non fresco almeno vivace, e
Una delle ossessioni per molti dei personaggi dell’opera è la giovinezza che fugge.
E tale è l’ossessione della pellicola stessa.
Parigi, 1986. Ognuno ha le sue motivazioni per entrare nel Théâtre des Amandiers. C’è chi sente di star sprecando la sua giovinezza, c’è chi vuole rendere orgogliosa la madre e crede che sia abbastanza, c’è chi non ha un perché, semplicemente vuole diventare un attore. Dodici ne entrano, gli altri rimangono fuori. Tra i dodici c’è Stella (Nadia Tereszkiewicz), bella e benestante, Etienne (Sofiane Bennacer) cupo e solitario, Victor leggero, Adèle, Frank etc etc, un gruppo di ventenni alle prese con la vita passata e soprattutto quella presente, fatta dai rivolgimenti di un tempo che passa attraverso l’aids, droghe, Chernobyl e porta con sé dolori e gioie. Senza freno, senza limiti. Limite che difficilmente riesce a porre persino lui, Patrice Chéreau (Louis Garrel), lo sfuggente direttore della scuola nonché regista del Platonov di Cechov, lo spettacolo da mettere in scena a fine anno. La gioventù corre, sulle strade in Lambretta rossa e nella vita sul filo del disastro, evitando e al contempo finendoci in pieno, e infine scordando la regola d’ora del poter essere giovani: dimenticare e saper andare oltre.
Non è un passatempo recitare, è pericoloso, è difficile, ed è la vita che voi dovreste rappresentare.
Arrivata al suo quinto lungometraggio, Valeria Bruni Tedeschi entra a capofitto nelle sue memorie e dimentica tutto il resto. L’atmosfera che crea è fatata, affascinante perché vivace ed esuberante, a tratti caramellosa nel momento in cui la fotografia si prende degli spazi e fa emergere quei colori che solo il frutto della memoria nostalgica può dare. La sceneggiatura è buona, soffre però di uno spartiacque che prende avvio all’incirca a metà film e modifica drasticamente la pellicola: se la prima parte è infatti frizzante e divertente nel toccare passo per passo la vita accademica, interna ed esterna, degli attori in atto e potenza, la seconda parte è viziata da una storia d’amore che appesantisce e rende anche un po’ scontato il prodotto.
Certo, gli attori sono buoni, sia l’alter ego di Bruni Tedeschi, Stella, che gli altri, con note di lode tanto per Louis Garrel nell’interpretare Patrice Chéreau – gli sa dare una sfumatura perfettamente instabile -, tanto per l’altro regista, quello della sala piccola, Pierre Romans. Interpretato da Micha Lescot, questi completa e rilancia quell’immagine malinconica eppure vitale che tocca l’artista in generale e soprattutto l’attore di quel tempo e di quella, lo si deve dire, fortunata condizione sociale
Tu sei un velleitario, Lescot, e i velleitari vengono dimenticati.
Passato in concorso al 75° festival di Cannes (in anteprima alla Festa di Roma e a France Odeon) ora in sala, Les Amandiers è quindi un film piacevole, entusiasta e amarognolo come le mandorle del titolo e gli amori di cui si parlava (cianuro a parte, eroina presente). Rimane certo lo scrupolo di capire come lo spirito nostalgicamente francese di Bruni Tedeschi si sia potuto inchinare alla scelta del titolo internazionale (e anche italiano), Forever young, capace nella sua banalità di togliere briosità e romanticismo fin dal titolo, anticipando così la seconda parte della pellicola.
Alla canzone degli Alphaville, appunto Forever young, nonostante sia autenticamente contemporanea agli eventi del film (1984), si preferisce quel Guarda che luna finale: evita l’appiattimento tematico e restituisce la ricercatezza sofisticata tanto francese, sostenuta da una fotografia granulosa e dalla sensazione imperante di una primavera perenne o sempre in anticipo. Prima dell’arrivo dell’autunno, della scomparsa dell’ombra di alberi bruciati durante quell’estate europea chiamata anni ’80.
Dal 1 dicembre al cinema
Forever young (Les Amandiers) – Regia: Valeria Bruni Tedeschi; sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy; fotografia: Julien Poupard; montaggio: Anne Weil; musica: François Waledisch; scenografia: Emmanuelle Duplay; costumi: Caroline De Vivaise; interpreti: Nadia Tereszkiewicz, Sofiane Bennacer, Louis Garrel, Micha Lescot, Clara Bretheau, Oscar Lesage, Alexia Chardard, Sarah Henochsberg, Noham Edje, Liv Henneguier; produzione: Ad Vitam, Agat Films, Bibi Film, Arte France Cinéma; origine: Francia, 2022; durata: 126’; distribuzione: Lucky Red.