Manodrome di John Trengove (Concorso)

  • Voto
John Trengove

Il nome del sudafricano John Trengove (classe 1978) – dopo gli inizi in campo televisivo, documentario, ecc.  – era diventato noto, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, con il suo controverso lungometraggio di debutto per il cinema The Wound, presentato prima al Sundance, poi nella sezione “Panorama” alla Berlinale del 2017 e a seguire in tantissimi altri festival al mondo. In questo fortunato film, aveva esplorato un gruppo di ragazzi di etnia xhosa  –  il gruppo etnico più numeroso in Sudafrica dopo gli Zulu – che si riunivano su una montagna in una regione rurale del paese per assistere all’ukwaluka, un rito tradizionale di circoncisione che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Tramite di esso il regista di Johannesburg mostrava come tale rituale maschile potesse scatenare dei sentimenti repressi nei protagonisti della stessa potenziale pericolosità pari all’apertura improvvisa di una pentola a pressione.

Mutatis mutandis: si passa dall’afrikaans e dalla lingua xhosa all’inglese, dai paesaggio esotici sudafricani alla giungla urbana della Grande Mela, e dalla sezione Panorama al Concorso della manifestazione berlinese ma il tema di fondo di questo nuovo Manodrome resta invariato: quello appunto di esplorare nelle viscere i meandri e i mutamenti della mascolinità – per altro un tema archetipo molto frequentato negli anni dal programma del Festival tedesco.

Il protagonista Ralphie (un eccellente Jesse Eisenberg) è un giovane bianco che sbarca il lunario come tassista di Uber ma tale occupazione, com’è ovvio, non è né gratificante né finanziariamente sicura. Si vede immediatamente sin dall’incipit che è divorato da un sacco di problemi, non ultimo il fatto che la sua ragazza Sal (Odessa Young) è pure incinta. I due dunque, abbastanza squattrinati, aspettano un figlio/a chissà quanto voluto (e lei, per altro, non vuol nemmeno sapere di quale sesso è la creatura che porta in grembo). E subito si intuisce anche che si è trattato dell’incontro di due dropout che hanno messo in comune le loro rispettive disperazioni. Ralphie sfoga le sue frustrazioni andandosi ad allenare di frequente in palestra per sviluppare il suo corpo come un bodybuilder e gira spaesato per la città sulla sua auto trovandosi anche in situazioni spiazzanti. Non ha alle spalle il trauma del Vietnam come Bob De Niro nel celeberrimo Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese – film che di sicuro ha ispirato la sceneggiatura John Trengove – ma un’infanzia difficile che gli ha segnato in modo irreversibile il carattere.

Jesse Eisenberg e Odessa Young

La svolta sembrerebbe avvenire quando tramite un amico viene introdotto in un gruppo di persone capitanate da Dan (un Adrien Brody in grandissima forma attoriale) che lo introduce in una sorta di culto liberatorio e coercitivo a un tempo della mascolinità che piano piano  porterebbe Ralphie ad abbandonare la famiglia in arrivo e a fare di peggio. E ci fermiamo qui per non raccontare gli sviluppi, talvolta imprevedibili, di questo dramma urbano molto americano che vuole inquadrare il fenomeno di quei gruppi nati e pervasi da una fervente misoginia, come i famigerati estremisti “incels”. Perché Manodrome ci narra, talvolta con abilità e diversi detour narrativi che spiazzano lo spettatore, le tensioni che crescono e vengono a galla nella figura del protagonista sino al drammatico finale in cui Ralphie perde totalmente il senso della realtà.

Probabilmente il film del regista sudafricano è uno di quelle classiche opere cinematografiche che a volte si rivalutano nella memoria. Molto ben recitato, un discreto ritmo dettato da una sceneggiatura a volte originale che imprime alla sua storia sempre nuovi spunti di riflessione, Manodrome non lo potremmo certo definire una capolavoro né una folgorazione ma non è neanche un film banale e scontato. Con tutti i difetti che gli si possono trovare, ha un qualcosa che ci aiuta a capire il disagio di oggi nelle grandi metropoli e quegli inquietanti fenomeni di violenza urbana tanto frequenti quanto apparentemente immotivati, come spesso avvengono negli Stati Uniti e non solo. Non sembra ispirato a fatti realmente accaduti (come di solito si dovrebbe leggere all’inizio o alla fine del film) ma potrebbero esserlo, purtroppo. Il tutto in solo 95 minuti, ottima, fantastica durata per un film da Festival.


Manodrome  Regia e sceneggiatura: John Trengove; fotografia: Wyatt Garfield;  montaggio: Julie Monroe, Matthew Swanepoel; musica: Christopher Stracey; scenografia: Carmen Navis; ; interpreti: Jesse Eisenberg (Ralphie), Adrien Brody (Dan), Odessa Young (Sal), Sallieu Sesay (Ahmet), Philip Ettinger (Jason), Ethan Suplee (Dad Leo), Evan Joningkeit (Son Brad), Caleb Eberhardt (Son Aaron), Gheorghe Murensan (Sachiel); produzione: Niv Gina Gammell, Ben Giladi, Riley Keough, Ryan Zacarias per Felix Culpa, Liminal Content; origine: USA/GB, 2023; durata: 95 minuti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *