Mindemic di Giovanni Basso

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“Se in un romanzo appare una pistola, bisogna che spari” disse, in uno spaziotempo non molto lontano dal nostro, un certo Anton Cechov. Poco più tardi, l’arma (non sempre) letale ideata e progettata dal celebre drammaturgo divenne un vero e proprio assioma: non c’è palcoscenico, o cinepresa, che non ne sfiori il grilletto. È dunque naturale che Giovanni Basso, giovane regista e produttore ferrarese alle prese con il suo primo lungometraggio, parta dalla lettera A di un abbecedario teatral-cinematografico voluminoso quanto un secolo. Il suo film, scritto e girato interamente nell’incubo claustrofobico della pandemia, inizia nel modo più semplice possibile: ovvero, con una rivoltella.

Mindemic è un titolo bizzarro per una pellicola di tale fattura: ci aspetteremmo labirinti fantascientifici, scenari psico-distopici, e invece no. Come abbiamo imparato a nostre spese, gli accattivanti Disaster Movies made in Usa ci hanno sempre mentito: due anni (e mezzo) di lock-down, mascherine, ospedali al collasso e fake news dal sapore post-apocalittico sono scivolati via con una rapidità impressionante. L’abitudine è dura a morire – talvolta, sopravvive perfino alla morte: e così ritorniamo alla pistola (metaforica e non) del nostro amato Cechov.

Eppure, abbiamo l’impressione che la cinepresa di Basso spazi oltre l’irrefrenabile fame d’aria che l’isolamento post-Covid ci ha lasciato in eredità. È come se la sceneggiatura sapesse benissimo da dove partire, ma non avesse idea di dove potrebbe andare a finire, e così lo spettatore si ritrova imprigionato in una ragnatela narrativa le cui trame s’infittiscono a mano a mano ch’egli tenta di districarsi. Questa, del resto, è la storia di Nino (un monumentale Giorgio Colangeli), il classico personaggio in cerca d’autore alle prese con un’esistenza ormai giunta al suo malinconico tramonto.

L’incipit è da manuale: vediamo Nino girovagare annoiato fra stanze fin troppo note, compiendo gesti fin troppo noti in quel fin troppo noto limbo fra sonno e veglia da cui molti, ancora oggi, faticano ad uscire. Nino stesso è, per così dire, un soggetto da manuale: abbiamo a che fare con un ex regista dai sogni infranti, un visionario rassegnatosi alla routine, un Walter Kurz definitivamente redento, segregato in un candido trilocale tutto Wifi e aria condizionata. C’è qualcosa di inquietante nel silenzio che circonda il protagonista, ma ancora non sappiamo cosa. Infine, da una scatolina bianca, compare una pistola: quasi a redarguirci, a deridere le nostre aspettative, a trasportarci altrove.

L’arma di Cechov mette in moto uno strano effetto domino: Nino riceve la chiamata dello storico produttore Fredo (Claudio Alfonsi). Che gli propone di scrivere un film in tre giorni – un kolossal, un’opera spettacolare per indurre la gente a destarsi dal proprio torpore, nonché dal cinismo e dalla disperata solitudine che l’americaneggiante utopia odierna ci lasciò in dono ben prima del famigerato virus. Nino riesuma la vecchia macchina da scrivere, ultimo vessillo di un mondo che (memorizzate bene queste parole!) non esiste più. La stesura del copione, una sorta di dramma neoromantico ambientato in una guerra senza spazio e senza tempo, si fa più difficile a mano a mano che le ore si accumulano sull’orologio. I pomeriggi e le notti si coagulano in un flusso privo di coordinate precise, interrotto soltanto da qualche breve chiamata Skype o dalla tenera quanto perturbante rimembranza di Angela (Rosanna Gentili), compagna di una vita e grande amore perduto.

Se la prima metà del lungometraggio può sembrare a tratti incespicante e prevedibile, vale la pena rimanere fino alla fine: Mindemic è un’opera che cita apertamente e senza timore alcuno, che gioca con il déjà-vu, che affonda le mani nell’immenso calderone cinematografico degli ultimi ottant’anni per trarne fuori Kubrik (la scrittura ossessivo-compulsiva di Nino) o, come mormora Colangeli di fronte alla sua (si fa per dire) Olivetti, “Ben Hur, Fellini, 2001 Odissea nello Spazio, Antonioni, Cassavetes” e così via in un delirio nostalgico dagli effetti potenzialmente nefasti.

La sensazione è che Giovanni Basso si affretti con un entusiasmo fin troppo misurato verso un epilogo tanto nitido quanto fosco, col rischio d’incespicare fra i suoi aforismi, fra dimensioni esistenziali diverse, fra i colori che illuminano la quotidianità del protagonista – rosso-torpore per il sofferto ricordo del passato, grigio-verde per un presente onirico. Infine, a sbloccare l’impasse creativa in cui trama e autori rischiano di sprofondare sarà l’unico personaggio dotato di un vero corpo, il solo legame fra le allucinazioni di Nino e l’infelice realtà che ci circonda: sì, stiamo parlando della pistola di Cechov.

Dal 15 giugno in sala


Cast & Credits

Mindemic – Opera Zero – Regia: Giovanni Basso; sceneggiatura: Giovanni Basso; fotografia: Giovanni Basso; montaggio: Giovanni Basso; interpreti: Giorgio Colangeli (Nino), Rosanna Gentili (Angela), Claudio Alfonsi (Fredo), Paolo Gasparini (Giovanni); produzione: MAGNET FILMS; origine: Italia 2021; durata: 85’.

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