Old Henry

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Nell’incolta e solitaria Oklahoma del 1916 c’è una piccola fattoria: qui risiede Henry (Tim Blake Nelson), un vecchio contadino al quale la natura feroce e la malattia, circa un decennio prima, strapparono la moglie. Con lui abita il figlio Wyatt (Gavin Lewis), un adolescente tutto d’un pezzo a cui la vita di campagna sembra stare stretta (almeno così crede). Dopo una carriera da sceneggiatore, l’appassionato di Western Potsy Ponciroli sbarca al Lido in qualità di regista e si accomoda fra le sale veneziane con la stessa placida serenità con cui ci si siede al focolare domestico. E, infatti, Old Henry è decisamente una storia antica – per intenderci, il classico aneddoto da raccontare davanti a un falò, suonando l’armonica e magari sorseggiando un’onesta birra.

La cinepresa rimane ancorata al dettaglio nudo e crudo, all’ombratile malvagità che investe il paesaggio, al quotidiano mistero che scandisce le stagioni. Siamo ben lontani dalla tragicomica aforistica di Sergio Leone: nella desolata semioscurità messa in scena da Ponciroli non sembra esservi traccia di ironia. Al contrario, un realismo dai contorni quasi minimali prende possesso del palcoscenico e ci illustra la brutale America pellegrina. Alla cinepresa, del resto, non sfugge nulla – ce ne accorgiamo nel giro dei primi dieci minuti, dedicati ai macabri riti di un tempo agricolo ormai distante anni luce: sentiamo il vomere affondare nel terreno paludoso, vediamo i coloni tagliare la carne, spennare i volatili, nutrire i porci. Poi qualcosa accade.

Un giorno, appare un cavallo in cima alla collina. È solo: il padrone (o ex padrone?) deve giacere a qualche miglio di distanza, probabilmente con il volto schiacciato al suolo. L’intuito di Henry non sbaglia e, a pochi chilometri da casa, scopre ciò che non dovrebbe affatto essere scoperto. Fra le erbacce e le polveri si acquatta il combustibile necessario ad attivare la macchina favolistica, la Santa Trinità di ogni Western che si rispetti: una pistola (carica), una borsa piena di denaro (sconosciuto) e un uomo morto (ma solo a metà). Il burbero coltivatore, quasi fosse consapevole di trovarsi dietro alla quarta parete, scuota la testa e dice: no. Ma noi sappiamo che non sta facendo sul serio. E lo osserviamo tornare sui suoi passi.

Con una certa sconcertata inquietudine guardiamo il protagonista distruggere, tassello per tassello, il suo amato idillio agreste. Segnatevelo: mai soccorrere un presunto bandito, mai lasciare la sua arma carica, mai nascondergli il bottino. Detta come va detta: non impicciatevi in affari che non vi riguardano. Altrimenti, qualcuno verrà a chiedervi spiegazioni. Nel caso di Henry, quel qualcuno è Ketchum (Stephen Dorff), il cattivo senza speranza per antonomasia, una sorta di Sentenza meno astuto e più chiacchierone. Una volta rinvenuto, il fuggiasco ferito lo identificherà come “uno con cui non conviene scherzare”: gli abitanti del leggendario West erano di poche parole, ma sapevano farsi capire al volo.

Il tornado è pronto a travolgere l’allegra famigliola di rispettabili braccianti, l’epilogo appare fin troppo scontato e noi ci prepariamo a ruzzolare con violenza nell’occhio del ciclone. Eppure, non siamo poi così sicuri che l’indifeso contadino possa davvero definirsi tale: da una parte, intravediamo l’inconsolabile vedovo, l’irreprensibile solitario, il severo padre di un ragazzo tanto delicato quanto inadatto alla legge di frontiera. Dall’altra parte, tuttavia, non sappiamo cosa spinga questo individuo in apparenza mite e saggio ad accogliere nella sua dimora uno sconosciuto potenzialmente pericoloso, accendendo la miccia che farà esplodere l’intero edificio. Che il vecchio Henry non sia solo un vecchio si comprende dal viso scavato ed eloquente, dalla rude schiettezza usata nei confronti del figlio un po’ naif, dall’introversa consapevolezza dei suoi insegnamenti, dalla prontezza d’azione, nonché da un nervoso cinismo che poco si sposa allo stereotipo dell’Hillbilly – in gergo, uno zoticone dall’aria tonta, incapace di lasciare il proprio misero feudo.

Da ottimo sommelier del genere, Potsy Ponciroli ci serve su un piatto d’argento svariate leccornie, fra cui anche un colpo di scena finale dal retrogusto piacevolmente ingenuo. Sotto la maschera dell’arcigno fattore si cela infatti un noto criminale in pensione, uno degli assassini più spietati che il Nuovo Mondo abbia mai avuto l’onore di conoscere. Nell’ultima sequenza, realtà e finzione si confondono fra loro, trastullandosi con gli usi e i costumi di un intero microcosmo cinematografico: lo scopo è soddisfare le aspettative dell’auditorio, giocare a carte scoperte senza mai sfociare nella pura e piatta banalità – una dottrina, questa, già forgiata da grandi Maestri quali Sergio Leone e John Ford. Il regista si limita ad appagare la nostra curiosità seguendo semplicemente alcuni assiomi universali e sedendosi di fronte a noi al focolare, proprio come farebbe un genitore scontroso ma amorevole.


Cast & Credits

Old Henry – Regia: Potsy Ponciroli; sceneggiatura: Potsy Ponciroli; fotografia: John Matysiak; montaggio: Jamie Kirkpatrick; interpreti: Tim Blake Nelson (Henry), Scott Haze (Curry), Gavin Lewis (Wyatt), Trace Adkins (Uncle Al), Stephen Dorff (Ketchum); produzione: Hideout Pictures (Shannon Houchins, Mike Hagerty), Shout! Studios (Julie Dansker); origine: USA 2021; durata: 99’.

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