Raccontare l’arte – Intervista a Giovanni Troilo a cura di Eleonora Bove

Il regista Giovanni Troilo

Dopo il grande successo di Borromini e Bernini. Sfida Alla Perfezione (2023) premiato ai Nastri D’Argento di quest’anno come miglior Documentario d’arte, abbiamo intervistato il regista Giovanni Troilo per approfondire il mondo dei due grandi artisti, la loro contrapposizione ai tempi della Controriforma, e per analizzare le peculiarità del lavoro del regista pugliese e le prospettive per il futuro.

Domanda: Dopo il mondo di Claude Monet (Le Ninfee di Monet, 2018) e Frida Kahlo (Frida – Viva la Vida, 2019), cosa ti ha invogliato a raccontare quello più „classico“ e distante nel tempo di Borromini e Bernini? Diciamo anche che avevi già esplorato probabilmente Roma all’interno di Power of Rome (2022). A cosa si deve la scelta di questo determinato soggetto? Credo che tu ti sia anche ispirato all’anno del Giubileo, che è ormai alle porte.

 

Risposta: Roma, come anche Napoli e tutte le città stratificate, si prestano ad essere raccontate in un modo completamente diverso. Rispetto a Power of Rome, ne viene fuori un ritratto differente: basta ruotare di un grado solo il punto di vista e cambia del tutto. All’interno di Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione, Roma va proiettata negli anni della Controriforma. È una sorta di Hollywood dell’epoca, in cui c’erano più di mille artisti in città, attirati per rilanciare una religione in crisi. Ed è all’interno di questo contesto che va immaginata una battaglia lunga una vita, una sorta di partita a scacchi dove la scacchiera corrisponde con la mappa di Roma e i pezzi sono dei capolavori dell’architettura, con questi due maestri che si sfidano costruendo edifici uno di fronte l’altro.
Da dove arriva l’idea del soggetto? In realtà, ho ricevuto una proposta per lavorare su Borromini, che stavo persino rifiutando inizialmente poiché non riuscivo ad entrare nel mondo di questo personaggio. Più tardi ne avrei scoperto anche il motivo: è un mondo che per scelta di Borromini stesso risulta piuttosto ostico da penetrare, che possiede una sorta di inerzia iniziale, di filtro, ma che una volta conosciuto fai fatica ad abbandonare. E così è successo; ho perseverato e trovato non solo l’empatia con il personaggio, ma sono entrato completamente nel suo lavoro, nella vita e nella sua opera. In questo senso, il film compie un piccolo grande sforzo per cercare di rendere memorabile un personaggio così complesso.

La storia dei due talenti del Barocco e della Controriforma è ricostruita meticolosamente servendosi di critici d’arte come Waldemar Januszczac, Aindrea Emelife, Paolo Portoghesi. Ti sei inoltre servito di una suddivisione in capitoli per organizzarla con criterio. Nel caso di Frida, la voce narrante di Asia Argento fa da fil rouge. Nel caso di Monet, ritroviamo i tre atti a far da collante. Come è avvenuta la pianificazione del tuo lavoro e da quali fonti sei partito prima di girare, in fase di scrittura?

C’è stato un vero e proprio lavoro di architettura narrativa. Abbiamo provato a renderlo meno esposto possibile e parte proprio dalla vita di Borromini e da un fatto in particolare: le sorti di un artista erano legate in modo indissolubile al Papa che di volta in volta sarebbe stato eletto per un nuovo pontificato. Nel corso della sua vita, si son succeduti tre Papi, Urbano VIII e Alessandro VII privilegiarono Bernini, risultando invece particolarmente avversi a Borromini, tant’è vero che la sua carriera inizierà tardi, quando Bernini era già un artista decisamente affermato. Il papa „di Borromini” fu Innocenzo XIII, ma il suo papato durò solo dieci anni. In questo arco di tempo, Borromini realizzerà tutto quello che lo renderà memorabile. Ci sembrava una coincidenza incredibile e abbiamo deciso di far aderire il racconto in tre atti coi corrispettivi Papati, scanditi con questa sorta di lotteria, di estrazione che mettiamo in scena. Abbiamo scelto di non avere una voce narrante, ma di affidarci ad un racconto corale. Le scene, inoltre, sono state concepite con due attori straordinari: Jacopo Olmo Antinori e Pierangelo Menci. Abbiamo immaginato il personaggio di Borromini come una sorta di Joker che si aggira per le strade di Roma, una sorta di outsider dell’arte. Se si va a prendere un suo ritratto, ci si accorge immediatamente che c’entra poco come la fisionomia di Antinori: abbiamo voluto allontanarcene appositamente, proprio per lavorare sulla memorabilità del personaggio. Per quanto riguarda le fonti invece, sicuramente la produzione letteraria di Paolo Portoghesi su Borromini ha assunto un ruolo centrale nello studio, così come la sua generosissima intervista nel film, ne costituisce un fondamento. Siamo stati due giorni nella sua casa-giardino a Calcata nella quale ha cercato persino di dare seguito ad alcuni progetti utopici di Borromini che nella sua epoca non videro mai la luce. Portoghesi ha dedicato la sua vita allo studio di Borromini e ha cercato di recepire nella sua architettura i fondamenti dell’arte del maestro ticinese.
Oggi purtroppo Portoghesi non c’è più: la sensazione che si ha riguardando l’intervista è quella di una consegna quasi testamentaria della sua conoscenza profondissima e del suo amore profondo per l’arte di Borromini.
L’altro studioso significativo è stato il francese Étienne Bariller, che ne ha restituito soprattutto il lato umano. Mi scappa sempre un sorriso quando ripenso a quanto andavo in libreria a cercare monografie su Borromini. Mediamente il commesso mi rispondeva „tutto quello che abbiamo su Bernini lo trova nella penultima corsia a destra”. Si continua a confondere Bernini con Borromini, e Bernini tende a schiacciarlo. Sembrava dunque logico celebrare finalmente Borromini. Salvo poi accorgersi che lavorare su Borromini senza intercettare Bernini è praticamente impossibile…

 In questo docufilm vediamo una riflessione sul potere delle Arti Visive, in un periodo in cui la Chiesa della Controriforma doveva portare i fedeli all’obbedienza e all’assoluto rispetto dei precetti, ma anche sull’importanza delle committenze per un architetto, sulla diversità dell’idea di artista per entrambi, su questo dualismo che è stato indispensabile per le opere di entrambi. Prima di vedere gli artisti, balza agli occhi il lato umano. Nel caso di Frida. Viva La Vida viene snocciolato il rapporto con Diego Rivera, in Le Ninfee Di Monet, invece, quello con Clemenceau.

Molto spesso nella vita degli artisti più grandi esiste un antagonista, un ostacolo, una sfida che finisce per diventare un fuoco per l’arte. Riguardo invece alla Controriforma, Borromoni e Bernini si comportano in maniera quasi contrapposta: Bernini celebra la ricchezza, la grandiosità, il mondo dell’esteriorità e lo fa sfruttando la teatralità dell’arte, Borromoni invece procede per vie molto tortuose e mette quasi a disagio lo spettatore. Possiamo definire Borromini il primo architetto della storia anche per questo: scolpisce lo spazio e poi guida al suo interno il movimento dello spettatore. Nella Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, ad esempio, c’è proprio un percorso che ti conduce verso l’alto: culmina con una chiocciola che, come dice Portoghesi, attanaglia il cielo. C’è una scala che lo spettatore deve percorrere affaticandosi per arrivare fin lassù, dove si può ammirare un panorama inaccessibile per chi abitava a Roma all’epoca. In qualche modo, ti invita a scoprire una verità che è destinata a mutare rapidamente.

 

 

 

 

 

 

Quali sono state le tempistiche con cui hai girato per Roma e gli eventuali imprevisti riscontrati?

Avere accesso a luoghi come la Cattedrale di San Giovanni in Laterano, come Sant’Ivo alla Sapienza che è quasi sempre chiusa al pubblico, l’Archivio di Stato, lo stesso Oratorio dei Filippini, non è stato per nulla semplice. Girare a Roma non lo è mai. C’è stato un lunghissimo lavoro di pre-produzione. Abbiamo concentrato le riprese in due fasi: una dedicata agli intervistati e ai luoghi e una per cucire e ricostruire scene, costumi, casting e girare in teatro di posa. Il lavoro è durato complessivamente tre settimane.

Alla luce della tua premiazione ai Nastri D’argento, come si inserisce questo docufilm? Cosa ti ha insegnato e cosa pensi di portare avanti?

Quello dei Nastri è stato un traguardo importantissimo. Non ricordo precisamente, ma credo che in passato ci siano state già almeno due nomination. È da tempo che mi sarebbe piaciuto ricevere questo premio. Il fatto che arrivi con questo film mi fa moltissimo piacere. Credo che sia stato frutto di un lavoro corale. Le musiche, gli attori e gli intervistati hanno concorso a creare un film a cui tengo moltissimo. Ho scoperto che mi piace lavorare in teatro di posa, cosa che già sospettavo in verità. Avverto un senso di familiarità, mi sento quasi a casa. Spero che nei progetti futuri si possa ricorrere quanto più possibile a un lavoro di quel tipo.

Disponibile su Sky Arte

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