Rendez-vous – Festival del nuovo cinema francese: Little Blue Girl di Mona Achache

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Partiamo dal titolo che chi scrive immagina sia preso a prestito. Little Girl Blue, infatti, è l’album che segna il debutto, nel lontano 1959, della nota cantante e musicista, nonché grande attivista per i diritti civili, afroamericana Nina Simone. Questo disco, nel suo complesso, raccoglieva anche la versione della canzone omonima, composta da Richard Rodgers (musica) e Lorenz Hart (testo), ed eseguita, per la prima volta nel 1935, dalla attrice-ballerina Gloria Grafton all’interno del famoso musical Jumbo (Dumbo) a Broadway. Inciso nel corso del tempo poi anche da Ella Fitzgerald e da Frank Sinatra, come pure da Doris Day, da Janis Joplin e dai Carpenters (tra gli altri), questo pezzo, divenuto ormai un classico della musica jazz dal carattere essenzialmente malinconico, esprime in parte conforto per un’orfana innamorata, in parte desiderio del brivido verso una nuova storia d’amore. Un componimento senza tempo che riesce a racchiudere possibili passaggi di una vita, quella in fondo di ognuno di noi.

Tornando al film, quest’ultima opera della regista franco-marocchina Mona Achache prosegue in immagini lì dove note e parole s’erano fermate. Al centro della storia si trova sostanzialmente un legame che, sia per natura sia per intensità, si fa progetto di vita e di arte, anzi combinazione del loro segreto integrarsi. Questo vincolo è quello universale tra madre e figlia, e in particolare qui della stessa regista con sua madre, Carole Achache, scrittrice e fotografa che nel 2016 si tolse la vita all’età di 63 anni. Mona, attraverso la convincente interpretazione di Marion Cotillard, scelta da lei come protagonista, ricostruisce la vita di Carole attraverso una montagna di quaderni, corrispondenze varie, scritti, fotografie, sequenze cinematografiche, registrazioni audio, confessioni sotterranee che si trovano ammucchiati in 125 scatole, in ordine sparso, nella sua ultima residenza. Il risultato è un vero e proprio biopic, come in genere si suol dire oggi, che segue il filo della memoria, tutta da (ri-)vivere, per mezzo delle tracce lasciate dall’autrice scomparsa e che acquista anche la forma di opera meta-cinematografica, con Mona nelle vesti della regista.

Le scene si aprono con Mona che, una volta sola nella casa materna, viene travolta dai documenti e inizia a provare a dare forma, proprio come si fa con i frammenti di un mosaico, a quel lascito da sapore involontario. Subito dopo, ritroviamo Mona alla scrivania della madre con di fronte Carole/Marion. E qui davvero parte il film. L’una passa all’altra gli ultimi indumenti che Carole indossava in vita, insieme ad anelli e collane. L’ attrice Cotillard si trova così, di colpo, a disfarsi dei suoi vestiti per indossare quelli del suo personaggio: ecco la magia del cinema! Come in un (vero-falso) incantesimo, vi attua una sorte di metamorfosi che comporta da un lato un salto nella Parigi della fine degli anni Cinquanta e inizio dei fatali sessanta, dall’altro un entrare nei panni di una protagonista della generazione appena precedente. E le cose non possono che complicarsi assai. Non solo ci si addentra nelle zone d’ombra della Storia, nei chiaro-scuri di una stagione dove le ideologie contavano e le vite degli altri come di tutti erano legate a fili il più delle volte fin troppo scontati. E quindi, come nel magistrale la Strategia del ragno (1970) di Bernardo Bertolucci, quando si va a ritroso e si torna sul latte versato, sono più le contraddizioni a emergere che le coerenze, più le discontinuità che le continuità. Ma soprattutto, scavando e indagando quelle schegge fatte di tempo così inzuppate di privato come di pubblico, vengono a galla anche i complessi rapporti tra Carole e sua madre, ovvero la scrittrice e sceneggiatrice Monique Lange, a sua volta altra figura artistica di spicco dell’intellighenzia francese. E allora è soprattutto la piccola Carole a tornare grazie a Little Girl Blue. Una bambina cresciuta forse troppo in fretta, a cui è stata destinata una conoscenza immediatamente precoce delle cose e della vita. Un’infanzia, la sua, trascorsa quasi a badare da sola a se stessa, un’adolescenza subito lanciata, purtroppo, verso l’età adulta passando per esperienze crude e dolorose, fino a subire violenza. E così l’essere diventata adulta comporta inevitabilmente alcuni deficit che poi si pagano a caro prezzo. Tornando a Mona, che si auto dirige in quanto personaggio-regista del film nel film, Little Girl Blue per lei significa affrontare non solo le sue origini, ma soprattutto rendersi conto che tale viaggio di andata e ritorno nel corso del tempo la conduce ad approssimarsi sino al limite della forza del cinema stesso. È un po’ come l’esperienza dell’astronauta in 2001 – Odissea nello spazio (1968) di Kubrick o, ancora più attigua, quella di Tarkovskij in Lo specchio (1975). Si tratta di un’impresa per cui si viene a misurare, ancora una volta e ripetutamente, la capacità del cinema di poter essere forse l’unico espediente accettabile per toccare con mano quanto, in fondo, il tempo non esiste, e soprattutto che i diversi contesti di cui si fa cornice altro non si rivelano che sintetici riepiloghi amplificati di tutto quello che prima ci ha attraversato e, di conseguenza, modificato. Si tratta di quella continua forma formans dove la forma formata è appena un segno diverso che accetta in sé e per sé il poter essere trasformato in altro da sé, conservando in atto e potenza tutte le vitali condizioni di possibilità per nuove configurazioni possibili.

Little Girl Blue è un film che nel complesso ci ha convinto, anche se a volte eccede un po’ in verbosità diffusa che non permette alle immagini di scorrere più liberamente sullo schermo. E, a notare bene, si predilige il metter in scena più gli stalli che gli slanci, aspetto che forse alla lunga appesantisce un po’ la visione. Eppure, quella stretta tra Mona e Carole/Marion concessa generosamente allo spettatore è semplicemente riuscita alla perfezione. “Quando abbraccio Marion – afferma Mona – in quel momento lei è davvero mia madre. Sul set il macchinista mi ha detto che non era una ripresa, ma una costellazione familiare. Il momento in cui l’anima di qualcuno riabita veramente il corpo. Quell’abbraccio non l’ho mai avuto nella vita reale. Non c’era tenerezza tra me e lei. Il film è stato anche un percorso verso l’amore. Adesso sono piena di quell’abbraccio”. Ecco: solo il cinema può?! Tutto il resto, come in particolare la vita, non può che essere soltanto sogno.


Little Girl Blue – Regia: Mona Achache; sceneggiatura: Mona Achache; fotografia: Noé Bach; montaggio: Valerie Loiseleux; musica: Valentin Couineau; interpreti: Marion Cotillard (Carole Achache), Mona Achache (se stessa), Marie Bunel, Didier Flamand, Pierre Aussedat, Tella Kpomahou, Guy Donald Koukissa; produzione: Les Films du Poisson, Wrong Men, France 2 Cinéma, RTBF; produttori: Laetitia Gonzalez, Yaël Fogiel; origine: Francia/Belgio, 2023; durata: 95 minuti; distribuzione: Movies Inspired

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