The lost city di Adam Nee e Aaron Nee

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Negli anni’80 uno dei film che ha divertito ed entusiasmato le platee cinematografiche  e che è diventato poi un classico  riproposto a tante generazioni successive  che hanno costruito il loro immaginario di divertimento e romanticismo su uno schermo tv in prima serata, è stato sicuramente All’inseguimento della pietra verde diretto da Robert Zemeckis che realizzava un’ irresistibile contaminazione tra film d’avventura e commedia: Katlheen Turner era infatti una scrittrice di romanzi rosa,  ambientati in luoghi esotici e con un eroe maschile dichiaratamente ispirato a Indiana Jones, che si ritrova ad uscire dalla sua asocialità e ipocondria e a vivere “dal vero” una delle situazioni estreme dei suoi libri, accompagnata dal simpatico e fascinoso guascone Michael Douglas, saltimbanco di missioni impossibili, inizialmente  più attirato dalla ricerca della pietra del titolo che dall’inevitabile svolta sentimentale.

Fa abbastanza effetto rivedere oggi, nel 2022 , praticamente la stessa storia , con alcune varianti e qualche aggiornamento, in questo The lost city, diretto e sceneggiato dai fratelli Aaron e Adam Nee, in cui c’è Sandra Bullock, abbigliata per buona parte del tempo con una tutina aderente a paillettes viola, scrittrice pure lei di romanzi d’amore e d’avventura,  che si ritrova suo malgrado incastrata in una storia di rapimento e ritrovamento di un tesoro perduto, appartenente ad un’antica e scomparsa civiltà descritta in un suo libro. Al posto di Michael Douglas si imbatte in quello che è apparentemente solo un bel Toyboy, meno canaglia e più bravo ragazzo, interpretato con perfetta , ostinata inespressività da Channing Tatum, che fa il modello per le copertine dei libri della scrittrice e si identifica talmente tanto con quel personaggio da cartonato promozionale da volerla salvare a tutti i costi; se la terza spalla comica in Zemeckis era l’irresistibile, grande “piccoletto” del cinema americano Danny De Vito, avido truffaldino tutto da ridere e a cui affezionarsi, qui c’è un cattivo ridicolo e imbranato, che, anche sotto l’ eccesso di barba e il ghigno di una risata isterica, non può nascondere il phisique du role del Daniel Radcliffe fu Harry Potter.

Se ci fermiamo alla superficie, non ci sarebbe molto da aggiungere, in quanto ci troviamo di fronte a un passatempo  leggero,  non pretenzioso e totalmente costruito su elementi basici, come l’alchimia tra i due protagonisti e alcune trovate azzeccate, su tutte un cameo divertente di Brad Pitt come improbabile, demenziale mercenario dal destino quasi  “cristologico”  che prima muore e in qualche maniera poi risorge.

Ma sotto la strato di vernice dei colori accesi e dopati e di paesaggi di un mondo perduto che rimanda, in maniera forse involontariamente meta, ai set perduti , dichiaratamente finti, di cartapesta del cinema artigianale di una volta, è contenuto, malinconicamente , il tramonto di un certo mood e di un’estetica da sistema – Studio system o Star system che sia – che ci fa assistere a una stanca, reiterata proiezione di cliché, un gioco scoperto di ombre e di fantasmi resuscitati non digitalmente da un’altra idea di intrattenimento, a cui danno un senso (e uno spessore) di decadenza sgangherata più che mortifera, e creano un immediato effetto tenerezza, il momento climax in una catacomba para egiziana, e in generale l’ambientazione sudamericana alla Coco, capolavoro Dinsey-Pixar sul culto e la celebrazione della morte attraverso la ritualità dello spettacolo.

La stessa recitazione della Bullock e di Tatum è sfacciatamente sospettosa e poco convinta , come le loro eccentriche mises o l’idea che i loro personaggi potranno avere una storia una volta spente le luci sul circo artificiale,  trattati più alla stregue di figure di un videogame bizzarro che da veri e propri corpi pulsanti e desideranti  (e la simpatica Sandra, nell’unica scena veramente memorabile del film, fa una battuta eloquentissima sul povero Channing con le braghe abbassate e le sanguisughe attaccate quasi ovunque…).  E non è tanto un problema di già visto, o di riciclato, anche perché  il cinema americano è ormai da molti anni tutto un remake, un sequel, uno spin-off, con sigle e definizioni che sono ormai diventati contenitori per visioni sempre più omologate, circuiti chiusi in cui non si rischia l’azzardo dell’inedito o dell’inaspettato,  fino all’autoconsunzione di tutte le immagini che una determinata storia può generare. Si tratta in fin dei conti sempre di una questione di sguardo e in questo ci torna utile  il paragone con Zemeckis, perché il suo sguardo in All’inseguimento della pietra verde  era in grado di rigenerare, dare nuova linfa e un respiro ancora più ampio  a quella che era già stata una situazione archetipica, un topos di una certa narrazione nella  Hollywood del passato recente e remoto, con bisbetiche domate e magnifici vagabondi in duetto sul confine borderline dell’ ordine costituito  (in primis Claudette Colbert e Clark Gable in Accadde una notte, dove lo sguardo già modernissimo e audace era di un certo Frank Capra…) .

Sandra Bullock e Channing Tatum

I fratelli Nee tendono invece a far derivare il loro sguardo da qualcosa che è già stato visto e detto,  senza arricchire o reinventare, ma fotocopiando talvolta in maniera stantia, non curata, che non riesce neanche a scadere in un ridicolo involontario, come tutte le insipide macchiette di contorno ( a cominciare dall’agente letterario del personaggio della scrittrice), alle quali è difficile concedere anche solo la plausibilità di suscitare una risata.

La cosa migliore rimane lei, la Bullock, seppur talvolta conciata con un trucco a La morte ti fa bella  (per alleggerire la differenza d’età con il suo partner?), ma con negli occhi quel mix di disincanto e sfottò da Che cosa ho fatto io per meritare questo verso tutto e tutti (compresa se stessa), da rendere simpatico ed empatico il suo status di scrittrice nel film e di attrice nella realtà, costretta a prestarsi  a questo circo imbarazzante  per rimanere in gioco. E se credevamo ad ogni secondo della Turner travolta dalle cascate filmate da Zemeckis, l’unico gesto vero e credibile Sandra lo compie quasi all’inizio di The lost city: di fronte a una brutta idea per una storia, meglio premere il tasto DELETE.

In sala dal 21 aprile


The lost city  – Regia: Adam Nee, Aaron Nee; sceneggiatura:Adam Nee, Aaron Nee, Oren Uziel, Dana Fox; fotografia: Jonathan Sela; montaggio: Craig Alpert; interpreti: Sandra Bullock, Channing Tatum, Daniel Radcliffe, Brad Pitt,Da’Vine Joy Randolph; produzione;Seth Gordon, Sandra Bullock, Liza Chasin  origine: USA, 2022; durata: 120’; distribuzione: Eagle Pictures

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