The piper di Erlingur Ottar Thoroddsen

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Alla ricerca di soggetti che possano rinvigorire un immaginario ormai sempre più esangue e prosciugato, il genere horror si nutre in un simbolica accezione vampiresca, come se fosse esso stesso un personaggio delle storie che racconta, delle leggende popolari del passato : in questo caso il regista islandese Erlingur Ottar Thoroddsen prende spunto dalla misteriosa storia de Il pifferaio di Hamelin, trascritta anche dai fratelli Grimm, che, tra fiaba e leggenda, possiede un oscuro aspetto di dannazione e vendetta così adatto a costruire suggestive audiovisioni orrorifiche.

The piper comincia infatti dall’immagine del volto di un bambino annegato sulle note della melodia per flauto che il mefistofelico pifferaio aveva utilizzato prima per allontanare i topi che infestavano la medioevale cittadina di Hamelin, e poi per attirare e far sparire tutti i ragazzini del borgo (presumibilmente annegati, almeno in questa versione della storia), una crudele vendetta contro il borgomastro che non si rifiutò di pagarlo per l’operato svolto. Quello che interessa a Thoroddsen è l’eco sonoro di questa favola gotica, del suo aspetto musicale: il film è dunque ambientato in epoca contemporanea dove un’ acclamata compositrice, tormentata e intenta a liberarsi da quella che abbiamo già capito essere una partitura maledetta, resta uccisa dall’involontaria evocazione di una creatura soprannaturale, proprio nel momento in cui sta bruciando gli spartiti incriminati. Già in questa ouverture ci sono dentro gli elementi di maledettismo legati a qualcosa che non può essere distrutto, cancellato o rimosso, Il “male” che si fa risonanza eterna e che sta al di sotto della superficie, che emerge  dall’inconscio come una ripetitiva, ossessiva composizione musicale. L’azione si sposta poi nel teatro dove una talentuosa musicista (Charlotte Hope) sta provando insieme ad un ensemble guidata dal solito tirannico e un po’ sadico direttore d’orchestra (l’ultima apparizione di Julian Sands in un ruolo piuttosto ingrato soprattutto nel grandguignolesco finale…) il concerto in onore della compositrice defunta, che è stata anche la sua mentore e insegnante.

Charlotte Hope

La giovane donna, spinta dall’ambizione e provocata dalla presunzione del collega maschio, decide cosi di ricostruire la partitura semidistrutta dal fuoco (un concerto per bambini con un assolo di flauto che già molti anni prima aveva provocato un incidente mortale), scoprendo molto presto l’ influenza ipnotica e letale di quella musica, dalla quale solo la figlia affetta da sordità riesce a non essere sottomessa. Da questo momento in poi c’è un alternarsi di scene investigative ed esplicative e altre esplicitamente paurose, o quanto meno che vorrebbero esserlo,  in una progressione che sembra essere al contrario  una regressione per ovvietà e scontatezza, dove la non eccelsa resa su un piano visivo e formale non è compensata  da una trama che non regge su un piano di coerenza e plausibilità, con personaggi che appaiono e scompaiono, possessioni fulminanti, esagerazioni troppo dimostrative che fanno rientrare tutto nella (rassicurante e catartica) sfera della comprensione, annullando qualsiasi turbamento o spaesamento.

Eppure di passaggi interessanti ce ne potevano essere, come la continua ondulazione tra i tempi, gli spazi e i suoni di un mondo reale eppure  molto chiuso e codificato come quello  competitivo e spietato della musica classica, e l’alterità perversa e malefica della versione del pifferaio, ma anche della mediazione morbida e dolce attraverso cui la bambina non udente entra in contatto con l’ascolto di quello che le succede intorno (la minaccia e la sicurezza). Purtroppo prevale la necessità di dover fa capire e di dover far tornare ogni cosa in un senso e non in una sensorialità, e l’impressione di opacità fa inabissare anche gli ambiziosi riferimenti che il regista ha cercato forse per stabilire un collegamento con alcune opere che continuano ad essere fondamenta(li) per la costruzione di uno sguardo horror, in particolari su certi ambienti e certe dinamiche. Il primo pensiero è rivolto chiaramente a Suspiria, l’allucinata sinfonia di morte e perdizione realizzata da Dario Argento con la memorabile melodia-nenia dei Goblin, ben più ficcante e ossessionante dell’opaca colonna sonora qui realizzata da Christhpher Young; e poi le tinte di blu e rosso di certe scene e scenari , le grate, i sotterranei, i sipari e le tende… ciò che veramente in Argento veniva trasfigurato nell’archetipo fiabesco di incanto e orrore, di sproporzione percettiva tra vedibile e udibile, nel caso di The piper (non si tratta di un ingrato paragone, quanto di un individuare dei segni ricorrenti) si riduce a effetto, soluzione, forzatura,  la rappresentazione che viene contro e che non porta da nessun’altra parte.

Quando a un certo punto appare il “pifferaio” , l’epifania sfiora il grottesco e non certo lo spaventoso:  nel volto appare come un incrocio tra l’Helena Markos mater suspiriorum argentiana e il Freddy Krueger di Nightmare-Dal profondo della notte (con tanto di unghie a lama) , mentre possiede l’andamento inesorabile e inarrestabile del Michael Myers di Halloween. Insomma, un sunto abbasta indigesto , e a tratti ridicolo, dei “super mostri “ del passato (chissà che maggiore potenza se avesse avuto ad esempio le sembianze di un fanciullo invecchiato, tipo il nano assassino di  A Venezia…un dicembre rosso shocking ) che crea una spettacolarità un po’ grezza e uccide l’atmosfera di disagio e di straniamento, di lontananza e di allontanamento che la vicenda de Il pifferaio di Hamelin contiene in sé.  Anche se, a voler essere corretti, c’è probabilmente un’immagine che richiama a una tale sensazione, anche se dura solo qualche fotogramma: un pubblico ammutolito e ipnotizzato, che ascolta e assiste nel buio di una sala, e per qualche istante nel totale silenzio, alla deflagrazione dell’esecuzione della partitura insanguinata, di fronte a un’orchestra di morti/mostri.

Il ritratto in nero del controcampo dei giovani e luminosi spettatori che appaiono  nella  versione cinematografica del mozartiano Flauto magico firmata da Ingmar Bergman. Un incantesimo spezzato che salva i bambini del film Thoroddsen di  da un nuovo infanticidio , ma che non evita al film stesso di inabissarsi negli antri di una mestierante routine più che di un ispirato turbamento.

In sala dal 18 gennaio 2024


The Piper  – Regia e sceneggiatura: Erlingur Thoroddsen; fotografia: Daniel Katz; montaggio: Michael J. Duthie; musica: Christopher Young; interpreti: Charlotte Hope, Julian Sands, Oliver Savell, Kate Nichols, Philipp Christopher, Alexis Rodney, Aoibne O’Flanagan; produzione: Jeffrey Greenstein, Bernard Kira, Yariv Lerner, Tanner Mobley, Les Weldon, Jonathan Younger; origine: USA, 2023; durata: 105 minuti; distribuzione: VERTICE 360.

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