True Things

Pensate ad una ragazza molto bella, ma sola, insicura, vittima della banalità e degli stereotipi della società più borghese dell’Inghilterra, aggiungete a ciò il suo desiderio di poter vivere, volare e evadere, se non fuggire. Avrete allora, più o meno,  il plot di True Things, tratto dal romanzo True Things About Me di Deborah Key Davies e coprodotto da due grandi star britanniche Jude Law e Ruth Wilson (anche protagonista del film);  l’argomento trattato è chiaramente quello delle relazioni “disfunzionali” e della violenza prodotta da rapporti paradossali, in cui i sentimenti vengono sostituiti da desideri di possesso e controllo.
Questa situazione di enorme disagio è proprio ciò che si trova a vivere la povera Kate,  immersa in un mondo piuttosto prestabilito in tutte le  sue fasi, secondo gli stereotipi del caso: lavoro, casa, famiglia, marito e bambini.
Una delle frasi più utilizzate nella sceneggiatura attraverso il personaggio dell’amica e collega è “sistemarsi o ti vuoi sistemare” come se fosse naturale e scontato un iter prestabilito per tutte le donne. Nessuna alternativa possibile può salvare Kate.

Arriva, però, all’improvviso la sua “via di fuga”: il bello e dannato, dallo sguardo delinquenziale, interpretato dall’ottimo Tom Burke. Inizia così una spirale di sesso, assenze, ritorni e bugie, tutti elementi appartenenti al curriculum del perfetto “narcisista perverso”, uno degli stati patologici  più studiati, negli ultimi anni in tutto il mondo accademico occidentale della psicologia.

Impressiona l’approfondimento linguistico e tematico della sceneggiatura, dove si  è condotto un difficile lavoro di ricerca del reale senza mai scadere nel patetico o nell’ipocrisia paternalistica, mostrando le evidenti falle di una personalità femminile non ancora realizzata e non contrapponendola alla bassezza maschile, ma mostrandola nelle sue fragilità e ingenuità senza mai giudicarla o supportarla.

Le scene dei due amanti sono sempre molto sincopate, rudi, con immagini forti di primo piani e particolari dei corpi degli attori, i quali rimandano alla “natura” del rapporto che lega i protagonisti; spesso l’immagine delle soggettive di Kate sono sfocate per indicare il suo stato di assoluta dissonanza cognitiva. E Ruth Wilson conferma la sua versatilità in termini di personaggi estremi, tutti sul filo del rasoio, ma si dimostra anche in grado di contenere la sua fisicità in momenti più introspettivi e drammatici.

Girato in una cittadina inglese portuale inglese, True Things seppur non possa definirsi un film dall’impatto immediato, colpisce per la tematica affrontata, in particolare modo per l’accuratezza con cui vengono descritte tutte le fasi emotive in un crescendo di dolore in reazione alla crudeltà e banalità del personaggio maschile, prototipo della misoginia più inconsapevole e efferata.
La regia di Harry Wootliff conferma in questa edizione del Festival di Venezia, la risolutezza delle produzioni britanniche, che riescono a raccontarci, appunto, delle “cose vere” , investendo soprattutto sul qualità della sceneggiatura e sulla versatilità di attori di grande spessore.


True Things  – Regia: Harry Wootliff; sceneggiatura: Harry Wootliff, Molly Davis;  fotografia: Ashley Connor; montaggio: Tim Fulford;  musica: Connie Farr; interpreti: Ruth Wilson, Tom Burke, Hayley Squires;  produzione: The Bureau, Lady Lazarus, Riff Raff UK; origine: Regno Unito, 2021; durata: 102’. 

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