Una vita in fuga di Sean Penn

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Recentemente balzato agli onori della cronaca a causa del progetto di un documentario sull’Ucraina (è stato anche ospite da Fazio poche settimane fa), Sean Penn si presenta con Una vita in fuga  (ma il titolo originale è completamente diverso: Flag Day, vedi sotto) al suo sesto lungometraggio nell’arco di trent’anni.

Diciamo fin da subito che l’attore, candidato cinque volte e premiato due  con l’Oscar come miglior protagonista (per Mystic River e per Milk) come regista non ci entusiasma granché e a quanto pare non entusiasma neanche le varie giurie e o accademie, se a oggi, fatto salvo forse Into the Wild (ma anche lì solo premi secondari, una canzone di Eddie Vedder, vedi sotto), non ha mai ottenuto grandi riconoscimenti.

Come Into the Wild (2007, vedi: https://www.closeup-archivio.it/into-the-wild) anche questo film è basato su una storia vera (non se ne può più delle storie vere, per la miseria!), segnatamente il testo autobiografico della protagonista Jennifer Vogel, incentrato  sul padre John Vogel, il libro, con un titolo che è già programma, si chiama Flim-Flam Man: The True Story Of My Father’s Counterfeit Life (2005), ovvero L’imbroglione: la vera storia della vita contraffatta di mio padre.

Ma in realtà il libro – come il film – di storie ne racconta due: quella di un fallito, di un imbroglione, appunto, incallito e patologico ma evidentemente dotato di un qualche fascino almeno agli occhi della figlia, e la storia della – seppur tardiva – emancipazione della figlia appunto, che dopo drammatiche vicissitudini trova l’energia e il coraggio per liberarsi da una famiglia dissennata, da un padre delinquente, s’iscrive all’università, si laurea in giornalismo, diventa una giornalista investigativa e, buon ultimo, scrive il libro da cui è tratto il film che stiamo vedendo. La storia di un fallimento dunque e la storia di un successo.

Il film è incentrato per quattro quinti sulla prima storia e sui danni provocati, mentre solo, mal contati, una ventina di minuti riguarda il successo di Jennifer. Non che la vicenda della protagonista sarebbe, con ogni probabilità, particolarmente interessante, certo è che questo squilibrio nel film si sente.

Si sente, perché troppo a lungo Jennifer racconta – racconta sì: voce off, fino a non poterne più – le disavventure di quel coglionazzo di suo padre, il cui fascino francamente ci sfugge, al netto delle capacità attoriali di Sean Penn che fa di tutto (compreso digitalizzarsi per ringiovanirsi) al fine di rendersi interessante. Penn ci mette la faccia poiché, con ogni probabilità, il film negozia anche una relazione personale dell’attore e regista con sua figlia, con i suoi figli, perché Jennifer è interpretata piuttosto bene, va detto, niente meno che da Dylan Penn, la figlia avuta da Robin Wright nel 1991. E anche il fratello di Jennifer, Nick è interpretato da un altro Penn, il fratello di Dylan, Hopper Jack Penn, nato due anni dopo, sempre dalla stessa coppia.

L’intera vicenda – che Penn abbia inteso anche parlare di sé e della relazione con i figli, in fin dei conti, non ci interessa -, l’intero racconto di Jennifer, acronico ma punteggiato continuamente di date in funzione autentificante (altro trucco, quello della cronologia sfalsata, francamente visto e rivisto), l’intero elenco delle reiterate truffe e dei molteplici abbandoni di suo padre, è sul piano visivo punteggiato da uno – spesso insopportabile – stile à la Malick che già si fa fatica, almeno da qualche anno a questa parte a reggere l’originale, figuriamoci le scimmiottature.

E a rendere il tutto ancor più, diciamolo pure, kitsch è l’uso smodato della colonna sonora, a tratti bellissima per carità, ma spesso utilizzata all’unico ed esclusivo scopo di colmare i buchi di sceneggiatura (vero vulnus di questo film) e di auratizzare ulteriormente le immagini sgranate e flou di cui il film pullula fino alla noia. Anche qui, come già in Into the Wild  ci ha messo le mani, fra gli altri, Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam che, ad esempio, canta la cover di una celeberrima canzone dei REM (Drivee che si esibisce insieme alla figlia Olivia Vedder, terza costellazione padre/figlia presente nel film.

Quanto al titolo originale Flag Day, riferimento al giorno in cui si celebra la bandiera americana, il 14 giugno, proviamo a capirne il senso:  John Vogel è nato proprio quel giorno, ed è – da buon americano – ossessionato dall’idea di fare qualcosa di grande, di lasciar delle tracce, ma le tracce che lascia sono in fondo solo macerie, il titolo è dunque da leggersi in funzione antifrastica.

In sala dal 31 marzo


Cast & Credits

Una vita in fuga (Flag Day) –  Regia: Sean Penn; sceneggiatura: Jez Butterworth, John-Henry Butterworth; fotografia: Daniel Moder; montaggio: Valdis Oskarsdóttir, Michael Tesoro; interpreti: Dylan Penn (Jennifer), Sean Penn (John), Katheryn Winnick (Patty), Hopper Jack Penn (Nick); produzione: Metro Goldwyn Mayer, Conqueror Productions; origine: USA 2021; durata: 108′; distribuzione: Lucky Red.

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