Il Caso Goldman di Cédric Kahn

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Nella recente esplosione di film processuali francesi, il cinema sembra sempre volersi posizionare rispetto al sistema mediale. In Anatomia di una caduta la protagonista è pressata da giornalisti alla ricerca dello scoop, della dichiarazione a caldo. Un sistema mediale visto come trappola per il soggetto, forse un doppio del tribunale, già spazio privilegiato dove incastrare l’accusato. Il Caso Goldman si apre con una moltitudine di cronisti ad occupare il foro, ma ad essere pedinato non è l’accusato, bensì una semplice spettatrice, una diva, Simone Signoret.

Siamo nel 1976, ad Amiens, dove si tiene il secondo processo all’attivista di estrema sinistra Pierre Goldman (Arieh Worthalter), già condannato anni addietro all’ergastolo (sentenza poi annullata dalla Cassazione) con l’accusa di aver compiuto quattro rapine a mano armata, una delle quali provocò due morti. Durante la prigionia, il dotto Goldman divenne una star dell’ intelligentsia comunista francese con la stesura del suo libro di confessioni: Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia.

Ma Goldman vuole sfuggire dalla notorietà, dalla riduzione del giudizio alla sua persona, alle sue qualità, alla sua biografia. Vuole tornare ai fatti, che sono incontrovertibilmente a suo favore, per quanto riguarda i due omicidi. La sua è un’innocenza “ontologica”, dice, giustificandosi in pratica tautologicamente. Goldman non può però sfuggire dal suo carattere, dalla sua identità, per quanto errante sia. Così una supposta disfida mediale si rivela invece, a forza di zoom in avanti e messe a fuoco, uno scontro su due forme di ebraicità, forse non così distanti come inizialmente può sembrare.

Nella prima scena del film, l’avvocato difensore scopre una furente lettera dell’assistito in cui si scaglia contro di lui in quanto frivolo ebreo da salotto che sfrutta la notorietà del caso per elevare il proprio status. Durante il processo, che occuperà il resto del film, Goldman sembra volersi difendere continuamente da solo, rispondendo prontamente alle accuse, indifferente ai moniti del proprio avvocato, preoccupato che l’assistito possa cadere nei tranelli dell’accusa.

Arieh Worthalter

Piuttosto che dai testimoni, non particolarmente credibili, o dalle prove, inesistenti, o dai media, più interessati alle personalità presenti in aula, l’avvocato, l’ebreo integrato, dovrà difendersi dal proprio assistito, l’ebreo apocalittico. Questi vede, non solo nell’accusa o nel sistema giudiziario, ma nell’intera società il responsabile dell’ingiustizia che ha subito lui e suo padre, eroe della Resistenza francese. Più volte durante il processo la parola profetica di Goldman spezza la routine del sistema rimettendo a fuoco la sua figura, la sua causa.

La messa in scena del film lavora tutto sul rapporto tra primo piano, dominato dai testimoni e dal giudice, e lo sfondo, occupato dal veemente Goldman e dall’altrettanto infuocata tifoseria di estremisti di sinistra che lo sostiene nel pubblico. Qua e là, come in Saint Omer di Alice Diop, si erge tra la folla un testimone oculare delle reali ingiustizie della società. Allo spettatore del film è invece affidato il tipico ruolo neutrale del giurato, che deve assistere in modo imparziale alle dispute dialettiche e ponderare attentamente sulla realtà dei fatti, anche a costo di accettare le logiche del gioco processuale.

Eppure, qualcosa di più sotterraneo si attiva nella disputa tra i due duellanti, qualcosa che concerne la loro comune identità giudaica. Così nelle loro ultime parole prima della pronuncia del giudizio, sia l’avvocato che il suo assistito ammettono la prossimità all’altro, una profonda ferita che condividono e che segna le loro differenti traiettorie. Qui forse si rivela il giusto posizionamento del cinema che cerca di rispondere alla divisione ideologica sostenuta dai media focalizzandosi piuttosto sul reciproco riconoscimento malgrado le differenze.

In sala dal 23 maggio 2024


Il Caso Goldman (Le procès Goldman) Regia: Cédric Kahn; sceneggiatura: Cédric Kahn, Nathalie Hertzberg; fotografia: Patrick Ghiringhelli; montaggio: Yann Dedet; scenografia: Guillaume Deviercy; interpreti: Arieh Worthalter, Arturo Harari, Maxime Canat, Jeremy Lewin, Arthur Harari; produzione: Benjamin Elalouf per Moonshaker Films, Nathalie Dennes per Tropdebonheur Productions; origine: Francia, 2023; durata: 116 minuti; distribuzione: Movies Inspired.

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