Se i venticinque lettori di questa recensione me lo permettono, vorrei cominciare a raccontare la mia opinione su Amichemai partendo da un aneddoto che mi riguarda. Nel luglio 2024 venni invitato dall’Ischia Film Festival dove conobbi Maurizio Nichetti, il quale era per me soprattutto la pagina di un manuale di storia del cinema italiano che avevo perso dai radar, avendo egli smesso di dirigere film da oltre un ventennio. Quando ero uno studente universitario Maurizio Nichetti era infatti annoverato, assieme ai vari Francesco Nuti, Roberto Benigni, Nanni Moretti e Carlo Verdone, tra i cosiddetti “nuovi comici”, che secondo la vulgata corrente avrebbero rinnovato i codici estetici della commedia italiana orfana dei Risi, dei Comencini e Monicelli la cui stella stava tramontando. Ma anche l’autore che più consapevolmente ha saputo travasare nel cinema mainstream gli stilemi del fumetto, essendo egli cresciuto alla scuola del grande Bruno Bozzetto; e del cinema comico muto dei Charlie Chaplin e dei Buster Keaton, da lui sempre venerati.
Avemmo modo di familiarizzare: scoprii un uomo molto simpatico, affabile, cordiale, umile; totalmente privo di qualunque spocchia (l’autore di Ratataplan e Ho fatto splash aveva tutto il diritto di menar vanto della sua fama così meritata e così originale), che mi confidò di avere un film nel cassetto, praticamente pronto; con l’emozione del tutto comprensibile che trapelava, malcelata, dalle sue parole sobrie. Ho visto quel film a Festival di Torino 2024, e – senza giungere all’iperbole di quel collega che, uscendo dalla sala delle anteprime riservate alla stampa, è arrivato addirittura a definirlo il “miglior film dell’intera rassegna” – l’ho trovato, nella sua semplicità, delizioso. E con me il mio compagno di visione, col quale abbiamo immantinente programmato una traversata automobilistica dei Balcani.
Le incognite dell’uditorio dei critici più severi erano palpabili, per ovvi motivi: l’ultima volta che Nichetti si era cimentato con una regia era agli albori del millennio, quando nel lontano 2001 girò il non memorabile Honolulu Baby; dopodiché si è occupato d’altro: dal 2014 è direttore artistico della sede milanese del Centro Sperimentale di Cinematografia e titolare di un laboratorio di regia presso l’Università Iulm a Milano. Dal 2020 è direttore artistico, sempre a Milano, del Festival internazionale del documentario “Visioni dal Mondo”. Del tutto comprensibile dunque che nella sala riservata ai critici e ai giornalisti serpeggiasse un certo scetticismo: il rischio di trovarsi innanzi a un film senile era alto. E invece no, almeno a parere di chi scrive, l’ultimo film del più cartoonista tra gli autori italiani, senza essere un capolavoro è però una commedia garbatissima, insieme tenera e divertente. Una pellicola – ammesso che abbia ancora senso usare questa parola, nell’era del digitale imperante – che accetta la sfida lanciata dalle nuove tecnologie, che hanno mutato in parte il modo di fare cinema e dopo tutto anche il nostro modo di stare la mondo.

Lo si vede osservando Amichemai prima ancora di trovar conferma dalla viva voce del regista, che nelle note di regia scrive così: “Tornare a girare un film dopo più di vent’anni per me è stato un po’ come girare una seconda opera prima. Stessa ansia, stesse incognite, stesso entusiasmo. In vent’anni è cambiato tutto nel mondo dello spettacolo, nel modo di vedere i film, nel modo di girarli. Per questo il solo pensiero di ricominciare mi ha stimolato molto. Come con Ratataplan, il mio primo lungometraggio, mi sono fatto guidare dall’istinto più che dal mestiere e il film, oggi come allora, è nato, giorno dopo giorno, si è sviluppato come ha voluto, è uscito dalla sceneggiatura per farsi contaminare dalla vita che abbiamo vissuto in questi ultimi anni”.
Giusto che lo riconosca Nichetti: la sceneggiatura è la causa fondante e decisiva della riuscita di Amichemai, perché basata su delle idee forti, antiche come le regole di un manuale di sceneggiatura, che sono le stesse su cui si è edificata la drammaturgia classica del teatro greco, e originali come si conviene a una commedia che vuole palesemente sintonizzarsi sulla contemporaneità. Si tratta infatti di un classico “road-movie”, vecchio come la tradizione della narrativa on the road; declinato al femminile, come è giusto che sia in questi tempi di sacrosanto female empowerment. Non è un caso perciò che ha scriverlo siano state due donne, come Cristiana Mainardi e soprattutto Angela Finocchiaro, su cui si deve aprire un capitolo a parte. Nata a Milano da papà catanese, Angela debutta a teatro con la nota compagnia Quelli di Grock, fondata sempre da Nichetti, sviluppando una cifra comica di stampo surreale (come nella miglior tradizione milanese), prima di incontrare la fama proprio grazie al formidabile dittico d’esordio del regista milanese, i già menzionati Ratataplan e Ho fatto splash. Il fatto bizzarro, e forse in parte anche un po’ crudele, è che l’attrice ha dimostrato una longevità cinematografica notevolmente superiore al suo mentore, divenendo uno dei volti più importanti della nostra commedia.
E vedendo questo film, se ne capisce il motivo: Angela è una donna evidentemente provvista di una intelligenza spiccata e di un’ironia naturale, che sa però coniugare con una straordinaria credibilità, tale da permetterle di rendere plausibili pure le più stravaganti bizzarrie del film sempre a un passo dall’inverosimiglianza e dal favoloso. E però, anche di fronte a certi twist che porterebbero lo spettatore più scaltro a disconnettersi dalla fondamentale “sospensione dell’incredulità”, arriva Angela a rendere tutto quanto compatibile con le regole non scritte dello spettacolo cinematografico. E qui, per non “spoilerare”, si eviterà di entrare troppo nei dettagli, ma basti sapere che il film racconta le divertenti peripezie di due donne simili per età ma diverse in tutto, che per motivi legati a un’eredità decidono di affrontare un viaggio di sola andata Milano-Istanbul, che ricalca fisicamente – come Christopher Vogler insegna – il cosiddetto “viaggio dell’eroe” sotteso a qualsiasi narrazione filmica, e dunque il conseguente “arco di trasformazione dei personaggi” dopo il quale le due nemiche per la pelle approderanno a nuove consapevolezze, tra content creator e apocalissi da climate change.
L’altro polo di questo buddy-movie automobilistico è l’attrice turca Serra Yılmaz, nota principalmente per essere una presenza fissa in quasi tutti i cast del connazionale Ferzan Ozpetek, e che qui sviluppa con la collega italiana una chemistry in tutti i sensi da favola, che le trasforma in una versione “de noantri”, e per fortuna molto meno melodrammatica, delle leggendarie Thelma & Louise. Ben fatto, Maurizio: ci piacciono le fiabe, raccontane altre!
In anteprima al Torino Film Festival 2024
In sala dal 27 febbraio 2025.
Amichemai – Regia: Maurizio Nichetti; soggetto: Angela Finocchiaro, Cristiana Mainardi, Maurizio Nichetti; sceneggiatura: Maurizio Nichetti; fotografia: Vincenzo Carpineta; montaggio: Massimo Germoglio; scenografia: Francesca Fezzi; costumi: Lavinia Bonsignore; musiche: Carlo Siliotto; interpreti: Angela Finocchiaro, Serra Yilmaz, Gelsomina Pascucci, Pia Paoletti, Maurizio Nichetti, Astrid Casali, Luca Lombardi; produzione: Paco Cinematografica e Loka Film; origine: Italia, 2024; durata: 90 minuti; distribuzione: Filmclub Distribuzione.
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