Amor di Virginia Eleuteri Serpieri (Fuori Concorso)

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Raramente la pratica dell’ utilizzo del materiale d’archivio, attraversata nel lungo e nel largo delle sue potenzialità espressive (documento, ricordo, testimonianza, immaginario ) si è trasformata in un processo vivo e vibrante come in Amor di Virginia Eleuteri Serpieri: un’immersione  verticale negli spazi e nei tempi  di una storia che segue l’orizzonte spostato e spossato di un viaggio al termine della notte. Ma la prospettiva è ancora più ampia e tocca la simultanea presenza di mondi paralleli generati dall’ immagine capovolta sui riflessi di un’acqua il cui significato non è più circoscritto nella consolazione (e nell’oblio) di un liquido amniotico.

Non si tratta di un abbacinante maternage , la cui assenza/mancanza, come vedremo, è la pulsione e la ragione di questa ricerca, ma del flusso impetuoso e costante delle inondazioni che straripano nell’eterogeneità dei materiali; dalle foto filmate come prova dell’esistenza di un altro tempo privato e collettivo, all’effetto digitale che ne amplifica l’eco suggestivo sulla traccia audiovisiva del contemporaneo, fino ai filmati d’epoca non inseriti come margini di un contesto, ma frammenti innestati nella forma di un corpo-fuoco centrale.

Quel corpo, nelle molteplici possibilità di evocazione e di ricostruzione che può assumere dopo la morte, appartenuto a Teresa, la madre di Virginia, la regista. Di questa donna, annegata nel Tevere dove vi si è presumibilmente gettata dopo aver assunto una pesante dose di psicofarmaci, non vengono esaminate le cause e le conseguenze di una condizione patologica. E la prima restituzione che le offre la figlia attraverso quel movimento del “divenire al lavoro” che è proprio del cinema consiste nel dilatarne l’identità in frammenti scomposti e ricomposti in continuazione, fino a cogliere lo scarto, la non coincidenza, il punto di fuga di un ritratto che rischierebbe altrimenti di rimanere schiacciato tra la convenzione realista e l’ edificante sentimentalismo.

Perché la radicalità di quel gesto non viene mistificata o sublimata ( a un certo punto la voce narrante in prima persona legge il referto dell’autopsia e vengono menzionate anche le prescrizioni dei vari medici nel corso degli anni), in quanto non c’è la resa al passato di un ricordo patito in eterno.

Si attiva al contrario il dinamico intersecarsi di memoria e immaginazione che produce ulteriori, inesauribili punti di vista su sentimenti mossi e non rimossi.

Teresa si espande fino a diventare presenza immanente ed endemica in una Roma, città scenario della sua vita e della sua morte, destrutturata nelle stratificazioni secolari e raccontata negli itinerari “minori” di una piazza, di una via o di una fontana. Paesaggio urbano nella sua dimensione passata e attuale, che Virginia percorre tra le architetture della sua giovinezza, filmandosi mentre guida nella dichiarata parzialità di una  parte per il tutto: gli occhi riflessi dentro lo specchietto retrovisore della macchina,  attenta a cogliere ed ad elaborare ogni risonanza e ogni evocazione.

La bellezza fuori norma della giovane Teresa che travalica i segmenti ingialliti degli scatti in bianco e nero o a colori,  nel sottotraccia di un’angoscia già montante e percepibile dalle sfumature stampate su pellicola di un’espressione  di stanchezza o disagio , non è più la definizione di un’agiografica cartolina familiare : è il fulgore misterioso, sfuggente , non immediatamente intellegibile di una città super esposta e super osservata. Un territorio di tale vastità da poter produrre per immaginifica partenogenesi  la versione di un mondo rovesciato dove l’AMOR(E) è la cura di tutte le subite e auto inflitte ferite, anche nella simbolica dimensione del post mortem.

E ciò che potrebbe sembrare  footage nella rappresentazione del pianeta Amor e dei suoi abitanti, girato con la sgranatura e i colori di un Super 8, è l’ulteriore upgrade di una messa in scena che mette in discussione lo statuto dell’immagine pre-meditata, pre-detta e pre-costituita; si manifesta la necessità di liberare tutti i supporti e i materiali visivi che sono stati fino a questo punto raccolti, realizzati e catalogati ( la stessa autrice, proprio dopo la scomparsa della madre,  ha cominciato a scattare in prima persona fotografie della città ) e di stabilire non incastri ma correlazioni.

Un ‘accensione che libererà a loro volta le energie creative sommerse dal pantano di un dolore, di un’ ossessione, di un senso di colpa.

Il Tevere del repertorio degli anni 50 e 60,  non solo come fondale cimiteriale di cadaveri, enorme vasca a cielo aperto nel quale i ragazzini della generazione di Teresa facevano il bagno (chi non ricorda d’altronde la gara di tuffi tra il pasoliniano Accattone e i suoi compagni di miseria su quelle ancora bionde sponde?); e ancora l’acqua fiumana che espande le dimensioni di una natura non indifferente, un ritorno all’origine pietrificata del dramma e al suo possibile scavalcamento in sostanza liquida  (la presenza di costruzioni fatte di rocce millenarie è  il materico contro campo della palingenesi madre-figlia ).

E il conflitto tra staticità e dinamicità esce fuori dagli scatti della vera Teresa e trova il suo doppio nel volto dalla luce perduta in Roma e ritrovata in Amor di un’attrice che performa quella condizione di alterità e di distanza.

Ma seppur se ne comprende la scelta e se ne apprezza l’effetto straniante, si rimane con il dubbio che si tratti di un’ eccedenza rispetto alla già folta e densa apparizione ed evocazione di Teresa (ancora più forte nel fuoricampo della totalità della figura di Virginia, per dire di una ricerca che non si fa mai rispecchiamento o identificazione).

Poi ci si ricorda dell’enormità della situazione vissuta da questa donna- cineasta che è stata una bambina e una ragazza e che di conseguenza ogni intuizione su come potrebbe essere riformulata la percezione di quell’ evenement va perseguita fino in fondo.

Un ti vorrei che riecheggia tra i sospiri di tante ore e tante stanze tutte per sé, fino all’afflato vitale che si sprigiona nell’atto di fare un film.


Amor – Regia e sceneggiatura: Virginia Eleuteri Serpieri; fotografia: Simone Rivoire; montaggio: Beppe Leonetti, Virginia Eleuteri Serpieri; musica: Martynas Bialobżeskis; interpreti: Odetta Tunyla, Laura Riccioli (voce); produzione: Stefilm International (Edoardo Fracchia, Elena Filippini, Stefano Tealdi), Era Film (Rasa Miškinytė) con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 101 minuti.

 

 

 

 

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