Betânia di Marcelo Botta (Festival di Berlino – Panorama)

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Con Betânia il quarantenne brasiliano Marcelo Botta debutta nel lungometraggio. Ci sono film d’esordio fulminanti per quanto sono maturi (restando alla storia del cinema italiano, pensiamo a Ossessione, Accattone, I pugni in tasca, Io sono un autarchico) e ci sono film d’esordio che, pur presentando notevoli elementi di rilievo, finiscono per deludere, nell’ambizione di voler raccontare troppe cose, come se non ci fosse un domani, come se a questo primo lungometraggio non potesse farne seguito un secondo.

È questo il caso del film di Botta, ambientato nel nord est del Brasile, in quella che di fatto è l’unica zona desertica, denominata Lençois Maranhenses, ovvero i Lenzuoli del Maranhão, una lunghissima e potentissima distesa di dune che lambisce l’Oceano Atlantico, capace di deviare il corso dei fiumi nella stagione delle piogge. Il paesaggio, oltremodo spettacolare, costituisce una continua suggestione ma anche un rischio al quale il regista non riesce a sottrarsi, dedicandogli una quantità impressionante di minuti.

Lo stesso accade con un’altra caratteristica dominante del film ovvero l’utilizzo di canzoni e riti, autentico elemento identitario della comunità, i cui destini ci vengono raccontati, il numero di testi musicali riportato nei titoli di coda è semplicemente sterminato, e anche qui Botta ci ha messo del suo perché risulta autore e cantante.

Il titolo del film Betânia fa riferimento a un piccolo villaggio della zona, ma soprattutto alla protagonista che si chiama così. Betânia è un donna di 65 anni, che di mestiere fa la levatrice in una regione dove le località sono distanti l’una dall’altra e correre al capezzale delle partorienti non è affatto facile. Il film si apre con la morte del marito e con i complessi e artistici riti funebri ad essa connessi. Con la morte del marito, si spalanca alla protagonista la possibilità di lasciare il suo alloggio in mezzo al nulla – dove la corrente elettrica va e viene (per lo più va), dove si cucina quel poco pesce che ancora è possibile pescare nell’Oceano, altrimenti diventato una autentica spazzatura (il tema ecologico è un altro dei numerosi temi del film) – per trasferirsi in un luogo un po’ più urbanizzato, dove vivono le figlie e il genero (la cui moglie, dunque l’altra figlia di Betânia è morta proprio di parto, dando alla luce il figlio). Betânia esita a lungo e alla fine cede e, a valle di un piccolo incendio che mette a rischio la casa, decide di vendere e di trasferirsi col nipotino Antonio Junior. Qui se da un lato le cose, in termini di agi (bella la sequenza in cui per la prima volta, con grande stupore, Betânia fa una doccia), sembrano andare meglio, dall’altro è forte il suo spaesamento, al punto che la protagonista sembra riuscire a vivere solo di ricordi, di racconti e, di nuovo, di canti.

La vicenda di Betânia è contrappuntata dalle storie di molti altri personaggi: il nipotino particolarmente gentile e diligente, il genero, l’unico che in questa comunità famigliare cerca di guadagnare qualche soldo, portando in giro i turisti a visitare le dune (un lungo, lunghissimo e inutilmente grottesco episodio racconta appunto di una escursione con dei turisti francesi che vengono abbondantemente e alla fine inutilmente presi per i fondelli), un’altra nipote più grande, con tendenze queer che fanno imbestialire sua madre, devota a una delle tante chiese cristiane che gravitano in Brasile. E altre persone ancora. Quando Botta si stanca di raccontare, piazza un po’ di dune e un po’ di musica. E il film, a tratti piuttosto stancamente, procede, senza voler finire mai, persino i titoli di coda vengono utilizzati al fine di autentificare il racconto, raffigurando i “modelli” dei personaggi principali.


Betânia  – Regia, sceneggiatura: Marcelo Botta; fotografia: Bruno Graziano; montaggio: Marcio Hashimoto; interpreti: Diana Mattos (Betânia), Ulysses Azevedo (Antonio Filho), Caçula Rodrigues (Tonhão), Nádia de Cássia (Vitória); produzione: Salvatore Films; origine: Brasile, 2024; durata: 120 minuti.

 

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