El Conde di Pablo Larraín (Premio della sceneggiatura)

  • Voto

«Ho trascorso anni immaginando Pinochet nelle vesti di un vampiro, come un essere che non smette di imperversare nella storia, sia nella nostra immaginazione che nei nostri incubi. I vampiri non muoiono, non scompaiono, e nemmeno i crimini e le ruberie di un dittatore che non ha mai affrontato la giustizia. Io e i miei collaboratori volevamo mettere in evidenza la brutale impunità che Pinochet rappresenta. Mostrandolo per la prima volta apertamente, in modo che il mondo potesse cogliere la sua vera natura: vedere il suo volto, respirare il suo odore. Per questo, abbiamo utilizzato il linguaggio della satira e della farsa politica, in cui il Generale soffre di una crisi esistenziale e deve decidere se vale la pena continuare la sua vita come vampiro, bere il sangue delle sue vittime e punire il mondo con il suo male eterno. Un monito allegorico del perché́ la storia debba necessariamente ripetersi, per ricordarci quanto le cose possono diventare pericolose» (Pablo Larraín).

Una voce femminile, fuori campo e in inglese, comincia a narrare la storia del feroce dittatore Augusto Pinochet  (1915-2006) – forse non è difficilissimo intuire chi è ma poi lo sapremo, de visu, in carne e ossa a tre quarti di questo El Conde, ultima opera di Pablo Larraín, prodotto in esclusiva per Netflix. E, come si sa, non è la prima volta che il grande regista cileno si occupa dell’argomento.
Figlio di due politici conservatori, l’ex presidente dell’Unione Democratica Indipendente Hernán Larraín e della ministra Magdalena Matte, ha tradotto in cinema, sempre molto efficace, inventivo e poco didattico, la passione politica trasmessagli nel DNA dai genitori. Proprio all’inizio della sua carriera aveva diretto una trilogia su quella che è stata la pagina politica più buia della storia del suo paese e cioè l’era della tremenda dittatura di Pinochet in una trilogia composta da Tony Manero (2008), Post Mortem (2010)  e No – I giorni dell’arcobaleno (2012). Adesso a dieci di distanza – ma avendo ancora sfiorato il tema in Neruda (2016) – ritorna sull’argomento con un film molto particolare, una commedia dark/horror che ricostruisce e rilegge in una sorta di un universo parallelo (tema oggi estremamente alla moda) quel capitolo tragico della recente storia del Cile.
Anticipiamo subito che, per noi, si tratta del film peggiore mai realizzato da Pablo Larraín in tutta la sua quasi ventennale  e gloriosa carriera, a parte il caso di Fuga (2006), la sua opera di debutto nel lungometraggio che confessiamo non aver mai visto. Girato in un bel bianco&nero per la fotografia del valente Ed Lachman, El Conde ci appare soprattutto come una bella idea sulla carta, un cortometraggio anche brillante, stiracchiato, purtroppo, a 110 interminabili minuti.

Jaime Vadell alias il vampiro Pinochet

Si ipotizza, qui, un vecchio Augusto Pinochet nei panni di un vampiro che si nasconde in una villa in rovina chissà dove all’estremità meridionale del suo paese, comunque in un gelido luogo dove perpetua la sua natura malvagia di calamità eterna. Ora però con alle spalle quasi duecentocinquanta anni di attività (aveva già iniziato, da giovane ufficiale, ai tempi della morte di Maria Antonietta e della Rivoluzione francese), decide di smettere di bere sangue mettendo quindi in conto di terminare la sua particolare condizione di creatura non transeunte. È in crisi d’identità, con una famiglia (quattro figli e una moglie interpretata da Gloria Münchmeyer) altrettanto terribile e cinica quanto lui sul groppone, ma anche con un segretario guardaspalle russo-bianco che sembra uscito o quasi da un film di Mel Brooks perché pensa di non riuscire a sopportate più la nomea di essere stato solo un predatore famelico della sua nazione, e non un grande leader controrivoluzionario. Ma poi interviene una bella suora esorcista e tanti altri detour e intrighi narrativi a far sì che … e si capirà anche chi è il personaggio che racconta questa favola allegorica sul male assoluto del nostro tempo.

Alfredo Castro, l’attore feticcio di Pablo Larraín

Pur a voler apprezzare, come si diceva, l’idea di partenza di questa dark comedy, riteniamo che la chiave comico-grottesca non appartenga alle corde migliori di Larraín, un regista di stampo agro e realista, poco adatto a percorrere i sentieri leggeri di un Mel Brooks o del giovane Polanski (il mitico Per favore non mordermi sul collo, 1967). O almeno è quanto è a noi risultato ad una prima visione.
El Conde, comunque, non esce nelle sale ed è un peccato se non altro per i chiaroscuri del direttore della fotografia Ed Lachman – lo si potrà vedere a breve sul piccolo schermo e magari qualcuno sarà in disaccordo completo con quanto abbiamo qui scritto. In ogni caso c’è nel finale una frase ad effetto che non riveliamo ma che potrebbe essere la chiave di lettura di tutto questo, diciamo così, bizzarro divertissement intitolato El Conde.
Ps.: A quanto apprendo da un amico-collega, il nostro dittatore amava farsi chiamare “El Conde”, cioè il conte. Ed ecco spiegato il titolo.

Su Netflix dal 15 settembre


El Conde Regia: Pablo Larraín; sceneggiatura: Guillermo Calderón, Pablo Larraín; fotografia: Ed Lachman; montaggio: Sofía Subercaseaux; scenografia: Rodrigo Bazaes; interpreti: Jaime Vadell, Gloria Münchmeyer, Alfredo Castro, Paula Luchsinger; produzione: Fabula (Juan de Dios Larraín, Pablo Larraín, Rocío Jadue); origine: Cile, 2023; durata: 110 minuti; distribuzione: Netflix.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *