Festa di Roma: Io e il Secco di Gianluca Santoni (Alice nella città – Concorso)

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Una piscina svuotata, abbandonata in periferia, Denni e il Secco si rincorrono. Denni si stende a terra, chiude gli occhi e sogna di galleggiare. Denni invita il Secco a unirsi a lui. Insieme sognano di galleggiare. Denni è un bambino di dieci anni, figlio d’un padre malavitoso e di una madre costretta all’omertà e agli abusi del marito. Il Secco è un ventenne, il classico bravo ragazzo invischiato nel crimine. Ma agli occhi di Denni il Secco è il “superkiller” che farà fuori suo padre e libererà la madre. 

Cresciuto in un ambiente violento, Denni non conosce altro che soluzioni violente. Sembra che il suo sguardo sia sempre dipendente da quello degli altri, in particolare dei genitori. Come se fosse consapevole di una propria insufficienza e a questo dovesse rispondere aderendo al modello genitoriale. Sogna, certo, ma da adulto, sogna una soluzione edipica, sogna ingenuamente da adulto. E quando la realtà si rivela altra, quasi sempre, lui si mostra per quello che è, un bambino costretto a doversi comportare da adulto senza successo. Lo spettatore dovrebbe identificarsi con questo sguardo, ma troppo spesso l’ingenuità del protagonista glielo impedisce.

In Secco Denni non vede solo un supereroe del crimine, ma anche una figura paterna di cui sente di necessitare particolarmente. E il Secco vede in Denni se stesso da bambino, imprigionato senza possibilità d’agire sulla realtà, impotente. Ma, a differenza di quanto crede Denni, Secco non è per nulla un superkiller, è ancora impotente, tanto di ricoprire la figura paterna quanto di scagliare un colpo di pistola. Il film non offre alcun altro sguardo alternativo rispetto alla crisi del paterno e all’impotenza dei suoi prigionieri, risolvendo la rottura dell’omertà in un finale segnato dal caso e dai buoni sentimenti.

Denni cerca di proteggere disperatamente la sua bici, corre in una spiaggia autunnale. Ma il film non sa che farsene di De Sica e Truffaut, di quello sguardo errante. Anzi, la violenza introiettata dal mondo adulto lo porta a scagliarsi veementemente contro la sua bici. Il rapporto con il Secco rimanda lo spettatore ai buddy movie, alle opere Coming-of-age, eppure il film non si mette mai veramente in cammino ma mantiene ferma la sua identità di crime tipicamente romano con la sua narrazione edipica (vista recentemente anche nell’ultimo Sollima), il suo tono moralista e i suoi attori (in particolare Andrea Sartoretti nel ruolo del padre). Peccato che il film sia ambientato nel ravennate (con tanto di contributo regionale) senza mezza spiegazione diegetica.

Nel primo lungometraggio di Gianluca Santoni, diplomato nel 2015 alla CSC, c’è fin troppa maniera, uno stile impostato che trascura ogni possibile altra soluzione “dal vivo”, come se il regista si fosse innamorato del proprio soggetto (vincitore nel 2017 del Premio Solinas) e, ingenuo come il suo Denni, fosse disposto a tutto pur di portare a compimento il lavoro. Un esercizio a cui nessuno può credere, come lo spettatore con i sogni di Denni.


Io e il SeccoRegia: Gianluca Santoni; sceneggiatura: Michela Straniero, Gianluca Santoni; fotografia: Damjan Radovanović; montaggio: Desideria Rayner; musica: DADE; scenografia: Nicola Bruschi; interpreti: Francesco Lombardo, Andrea Lattanzi, Barbara Ronchi, Andrea Sartoretti, Swamy Rotolo, Zoe Trevisan, Alessandro Bernardini, Lanfranco Vicari, Simone Plazzi; produzione: Nightswim SRL, Rai Cinema, Antitalent, Sajama Films; origine: Italia, 2023; durata: 100 minuti.

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