Komorebi è un’espressione molto usata nella poesia giapponese, specie nella sua breve forma, l’haiku. Tradotto grossolanamente, significa qualcosa come ‘il sole che filtra tra gli alberi’. Proprio perché difficile da tradurre nelle lingue occidentali, Perfect Days, di Wim Wenders, cerca, grazie a delle immagini, di avvicinarci al significato nascosto di questo termine poetico. Ovviamente il film non pretende di voler essere un komorebi, anzi, sebbene in uno studiato e preciso minimalismo della forma, ci racconta molto di più.
Innanzitutto, è il secondo film presentato dal regista tedesco al festival di Cannes di quest’anno. Nei giorni scorsi alla Croisette aveva già riscosso grande interesse il documentario in 3D Anselm – Das Rauschen der Zeit (Anselm – il rumore del Tempo), dedicato all’artista tedesco Anselm Kiefer e alla sua grandiosa visione di arte e vita.
Pur se a prima vista non sembrerebbe, anche Perfect Days ci parla d’arte, o meglio di estetica architettonica. E più precisamente ci porta nel mondo dell’architettura funzionale dei bagni pubblici.
In una narrazione semplice e lineare ci viene presentata la giornata quotidiana del protagonista Hirayama – ruolo magistralmente impersonato dall’attore Kōji Yakusho, che aveva lavorato anche in Babel, 2006, di Alejandro González Iñárritu e che ha vinto la Palma per la migliore interpretazione maschile –, addetto alle pulizie delle toilette pubbliche di Tokyo. Lo vediamo alzarsi la mattina e lo seguiamo nel suo lavoro durante la pulizia dei bagni cittadini, al quale adempie con grande diligenza. Dai suoi molti sorrisi intuiamo che, nonostante tutto, sia felice della sua vita calma e modesta. Il resto della giornata, tutto il suo tempo libero, lo dedica a vari interessi, che spaziano dall’ascoltare musica pop americana, ai libri, alla fotografia.
Nella caotica metropoli di Tokyo, Hirayama è riuscito con fatica – come scopriremo nel corso del film, il suo passato non è sempre stato così sereno – a costruirsi un angolino di tranquillità. Della vita precedente veniamo a conoscere solo alcuni brevi dettagli. Sta di fatto che il taciturno sessantenne, tiene in ordine la sua vita proprio grazie a una serie di abitudini quotidiane, come bere il caffè freddo appena salito sull’auto, lo scattare fotografie alla chioma al vento del suo albero preferito, l’occuparsi della sua igiene personale, o la cena nel suo ristorante-bar preferito. Sono piccole soddisfazioni. Ma l’uomo si rallegra pure di episodi inattesi, quali il bacio improvviso di una giovane donna, il bigliettino nascosto trovato in una delle toilette, o la visita della nipote Niko.
La musica è il primo elemento a regalare il ritmo a quest’ultimo film di Wenders. Per chi conosce i primi lavori del regista tedesco non è certo una novità. Già a partire dal primo cortometraggio 3 LP americani (1969), o dai primi lungometraggi quali Estate in città (1970) o Alice nelle città (1973) Wenders si serviva della musica pop americana per i suoi road movie. Se in quei primi film la musica usciva dai juke-box, qui in Perfect Days ha ancora l’inconfondibile suono delle audio cassette su nastro.
L’altro elemento ritmico che segna la fine della giornata del protagonista sono i suoi sogni: questi prendono la forma di composizioni astratte, in bianco e nero, che ricordano vagamente gli esperimenti espressionisti negli anni Venti del Novecento di Germaine Dulac (Étude cinégraphique sur une arabesque, 1929) o di Man Ray. E non sono opera di Wim Wenders, pur da sempre interessato di fotografia, ma della moglie Dorothea Wenders, fotografa professionista.
Come la musica americana, in Perfect Days ritroviamo anche altre grandi passioni di Wenders: per esempio per la cultura giapponese, il suo amore per la fotografia ‘analogica’, i libri di Patricia Highsmith.
Il protagonista Hirayama ha ben ragione di essere orgoglioso del suo umile lavoro. E qui bisogna fare un distinguo. Perché la cultura dell’igiene personale in Giappone ha una lunga storia. Ultima avanguardia, ne sono le toilette pubbliche sparse per la metropoli di Tokyo: piccole opere d’arte costruite da architetti internazionalmente conosciuti come Tadao Ando, Kengo Kuma, Shigeru Ban, Toyo Ito, che proprio nulla hanno a che fare con i maleodoranti bagni pubblici delle nostre città occidentali. Nel film di Wenders ne vediamo solo alcune fra le più belle e inventive: un’ode all’architettura dell’utile e del quotidiano.
Un film da non perdere, perché il regista tedesco, dopo anni di opere interessanti nel campo documentario, torna ad incantarci con una storia di fiction, in apparenza semplice e forse molto malinconica, comunque raccontata con grande bravura da maestro, e che si rivela essere ricca di elementi nascosti e spunti di riflessione. Proprio come immaginiamo possa essere il significato nascosto nel termine komorebi.
Last but not least: da vecchio cinefilo Wim Wenders ha voluto che questo suo film venisse fotografato nel formato quadrato, “a francobollo” del cinema classico che tanto ha amato.
Perfect Days– Regia: Wim Wenders; sceneggiatura: Wim Wenders, Takuma Takasaki; fotografia: Franz Lustig; montaggio: Toni Froschhammer; effetti speciali: Kalle Max Hofmann; scenografia: Tawako Kuwajima; costumi: Daisuke Iga; interpreti: Kôji Yakusho, Min Tanaka, Arisa Nakano, Tokio Emoto, Tomokazu Miura; produzione: Wim Wenders, Takuma Takasaki, Koji Yanai per Master Mind; origine: Giappone, Germania, 2023; durata: 123 minuti; distribuzione: Lucky Red.