Forse definire il documentario Miyazaki, l’esprit de la nature una finestra aperta sul mondo di Hayao Miyazaki può sembrare un poco esagerato, fatto sta che questo primo lungo lavoro del regista Léo Favier cerca di colmare una lacuna tutta europea. Sì, perché Favier si propone di spiegare (soprattutto a noi occidentali, compreso probabilmente anche sé stesso) come interpretare i segnali e le infinite metafore della cultura giapponese che vivono nella fantasia e nascono dalla matita del grande maestro di animazione giapponese. Che si trattasse di un enorme manco ce ne siamo accorti all’uscita del suo ultimo film Il ragazzo e l’airone. Proprio dal titolo scelto dalla distribuzione italiana (che poi è stato tradotto pari pari da quello scelto per la distribuzione internazionale) che riduce la trasposizione letteraria del libro per bambini E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino ad una banale storia di amicizia fra bambino e uccello, ci si rende conto di quanto lontani siamo dalla comprensione del meraviglioso universo animista di Miyazaki. Certo i suoi film sono perfettamente godibili sia da parte di grandi che da parte di bambini anche senza un manuale di istruzione ma, per capirne la profondità, una piccola spiegazione non guasta.
Come ha raccontato il regista francese durante la presentazione al Lido, il film, che ha ricevuto la quasi completa approvazione dello Studio Ghibli per come è stato realizzato, interseca filmati di repertorio girati durante le fasi di produzione di alcuni dei cartoni animati dello Studio con diverse interviste realizzate appositamente per il documentario. Fra gli intervistati, alcune personalità vicine al regista come il figlio Goro, responsabile della costruzione del parco e del museo Ghibli, il produttore e amico Toshio Suzuki e altri, chiamiamoli esperti, che hanno interpretato e scritto sui film di Miyazaki come l’antropologo Philippe Descola e la docente Susan Napier.
Sempre parlando con il pubblico Favier confessa di aver iniziato con intenti diversi rispetto al risultato finale. Il suo punto di partenza era di trattare più l’aspetto antropologico e biologico, entrambi caratteristiche ricorrenti nelle opere animate del padre di figure come Totoro, Chihiro e Nausicaä, ma di non essere riuscito ad evitare di inserirne la biografia. E sarebbe veramente impossibile analizzare il suo netto e deciso ecologismo senza collegarli agli eventi storici che hanno sconvolto il Giappone, dai disastri ecologici che hanno intossicato la natura provocati dall’inquinamento industriale, al terremoto di Kobe, ai devastanti successivi tsunami; e nemmeno parlare del pacifismo di Miyazaki senza citare il peso che su di lui ha avuto il lavoro del padre, ingegnere aeronautico della Mitsubishi, o lo scoppio della bomba atomica che ha portato alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Il film ci ripropone le immagini di alcune delle iconiche e magiche figure animate e ci aiuta a sondare il forte simbolismo nascosto dietro: l’enorme Totoro altro non è che lo spirito di un albero sacro ai giapponesi: l’albero della canfora; il fantasma mangiatutto in La città incantata (2001) espone l’idea di un consumismo sfrenato e senza fondo; o perché l’autore abbia da sempre scelto di disegnarsi come un maiale.
La concezione del mondo di Miyazaki nasce da grandi conflitti interni che si porta dietro fin dall’infanzia e che non trovano pace ma rimangono in antitesi fra loro. Proprio queste inquietudini hanno portato alla realizzazione delle sue opere migliori. Sono favole esistenziali che nascondono un’inconciliabile ambiguità e non cercano, nè vogliono tovare alcuna soluzione ai conflitti, siano questi reali o immaginati. A partire da Princess Mononoke (1997), fino a Il ragazzo e l’airone, luce e tenebre, aldilà e realtà si confondono; non ci sono personaggi completamente buoni, e nemmeno quelli totalmente cattivi come si è soliti ritrovare nei cartoni animati per bambini. L’universo Miyazaki è complesso tanto quanto il mondo reale anche se si presenta come una sua metafora. Al caos del mondo si sostituisce un caos animato ancora più complesso e insondabile, ma che incoraggia, grazie ai suoi protagonisti bambini, alla curiosità dell’avventura e della scoperta in preparazione alla responsabilità che attende l’età adulta.
Lo consigliamo a tutti i piccoli e grandi ammiratori di anime, anche in attesa del nuovo film, che indiscrezioni sembrano confermare sia in preparazione, nonostante l’ennesimo tentativo di Miyazaki di ritirarsi dal lavoro. Al documentario sicuramente la pecca più grande: non aver nemmeno accennato alla serie televisiva Conan il ragazzo del futuro (1978), dove secondo chi qui scrive, erano già presenti tutti i temi, le ambiguità e la magia che l’autore ha successivamente sfruttato e arricchito in tutta la sua opera.
Miyazaki, l’esprit de la nature – Regia: Léo Favier; sceneggiatura: Rémi Brachet, Léo Favier; produzione: Les Bons Clients, Tag Film; origine: Francia 2024; durata: 82 minuti.