Gli oceani sono i veri continenti di Tommaso Santambrogio (Concorso Giornate – Film d’apertura)

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Dotato di notevolissimi mallevadori – niente meno che Werner Herzog e Lav Diaz – dopo quattro cortometraggi il trentunenne Tommaso Santambrogio nato in provincia di Milano ma con alle spalle, pur giovanissimo, una esistenza ampiamente cosmopolita, esordisce nel lungometraggio, inaugurando al contempo le Giornate degli Autori e potendo vantare la distribuzione niente meno che di Fandango – e infatti il film esce in Italia in corrispondenza dell’esordio veneziano. Verrebbe da dire: e che sarà mai? E invece: signore e signori siamo in presenza di un gran bel film che i patronage citati li merita proprio tutti. Proviamo a spiegare perché ci arrischiamo in un’affermazione così spavalda – e ciò malgrado Santambrogio compia un’operazione apparentemente rischiosissima, ossia riprendere un suo cortometraggio (stesso identico titolo, vedi sotto) e dilatarlo da 20 a quasi 120 minuti, aggiungendo alla storia principale incentrata su due artisti Alex ed Edith, altre due storie che con quella originaria convivono di fatto senza mai intersecarsi, fatta salva la medesima location che è una città di 50.000 abitanti a sud de L’Avana che risponde al nome di San Antonio de Los Baños. Siamo a Cuba, dunque. Non so dire se al giorno d’oggi, probabilmente sì.

E al centro del film troviamo sostanzialmente cinque personaggi (con gli attori che hanno lo stesso prenome delle figure) che rappresentano le tre dimensioni temporali: Milagro, una donna sopra i settanta, che vive sola in una casa piuttosto malmessa a cui dedica comunque amorevoli cure e che lascia solo per andare in chiesa e se non andiamo errati un’unica volta alla stazione, luogo dove alla fine i personaggi tutti s’incontreranno. Non la sentiamo mai parlare. Solo una volta sentiamo un lacerto della sua voce perché piange leggendo e rileggendo le lettere di Miguel. La sua vita è irrimediabilmente trascorsa, da quando l’uomo non è più tornato dall’Angola (1989), quando i cubani vennero invitati ad aiutare i cittadini angolani nella lotta contro lo SWAPO in una guerra civile che durò per molti anni e di cui nel rovinoso susseguirsi di guerre piccole e grandi l’opinione pubblica internazionale ha forse perso la memoria. Milagro è il passato, un passato dignitoso e dolente.

Poi c’è il presente, esemplato da Alex ed Edith, due artisti. Con una meravigliosa performance che sembra davvero sintetizzare Herzog e Diaz ma anche dai tratti vagamente pasoliniani si apre il film: in uno scenario che verrebbe da definire amazzonico,  Alex che possiede un autentico phisique du rôle mette in scena una crocifissione su un isolotto fatto di frasche, di fronte a lui su un isolotto più piccolo la compagna, sulle rive leggermente scoscese in una perfetta coreografia le comparse o spettatori che dir si voglia fin quando l’isolotto con Alex non arretra verso la sponda opposta fino a sparire. Un’immagine iniziale che si farà fatica a dimenticare; ma – va detto – saranno molte in questo film le immagini memorabili, le inquadrature, spesso ma non sempre ferme, sono dotate di una incredibile perentorietà, a cui il bianco e nero naturalmente conferisce ulteriore aura (e quando la mdp si muove lo fa in modo geometrico e rigoroso). Al di là di questa performance esteticamente molto ambiziosa, Alex e Edith si guadagnano da vivere con i ragazzi: Alex gestisce una scuola di teatro, Edith è una burattinaia (altra scena memorabile: la sequenza di quasi 10 minuti di teatro dei burattini, verso la fine, sorta di epitome del film che stiamo finendo di vedere). Alex e Edith si amano, ma Alex vuole restare e Edith vuole andarsene, vuole andarsene in Italia, sta aspettando che arrivi il nulla osta per poter partire. Sulla loro relazione anche molto fisica incombe dunque uno straziante commiato.

E poi ci sono Frank e Alain che rappresentano il futuro, due amici per la pelle, innamorati del baseball, sport nazionale cubano, che in mezzo alle strade e i campi della città cubana sognano un futuro negli Yankees, la squadra di NYC, come i ragazzini di Napoli sognavano di diventare Maradona e ora Osimhen. Due ragazzini deliziosi, uno dei quali, a sua volta, si trova a origliare i progetti di espatrio dei genitori, ciò che potrebbe anche avvicinarlo al sogno ma allontanarlo dall’amico. Dunque, ancora una volta, l’ansia, il trauma del commiato.

Il titolo del cortometraggio e del lungometraggio è tratto da un verso di un poeta cubano vivente originario della zona che risponde al nome di Francisco Guzmán Rivero e appunto sottolinea il tema principale del film: lo strazio del commiato.

Al di là di una sapienza tecnica mai eccessiva, mai rileccata, Santambrogio sa descrivere i sentimenti, le passioni, sa descrivere i paesaggi reali e quelli dell’anima. Sono convinto che di questo giovane talento sentiremo ancora parlare – e con un po’ più di coraggio questo film poteva anche approdare al concorso.

In sala dal 31 agosto


Gli oceani sono i veri continenti (Los océanos son los verdaderos continentes)  – Regia e sceneggiatura: Tommaso Santambrogio; montaggio: Matteo Faccenda; scenografia: Alexis Álvarez Armas; costumi: Anisleidys Boza; interpreti: Alexander Diego, Edith Ybarra Clara, Frank Ernesto Lam, Alain Alfonso González, Milagros Llanes Martínez, Lola Amores, Jhon Steven Baldriche, Osvaldo Doimeadiós, Joel Casanova; produzione: Marica Stocchi, Gianluca Arcopinto per Rosamont, Cacha Films, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura; origine: Italia/Cuba 2023; durata: 118 minuti; distribuzione: Fandango.

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