Irgendwann werden wir uns alles erzählen di Emily Atef (Concorso)

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Tratto dall’omonimo romanzo di Daniela Krien (2011, che anche ha contribuito a scrivere la sceneggiatura con la regista franco-tedesca Emily Atef), la storia si svolge in un bucolico paesaggio di campagna della DDR nell’estate del 1990, poco dopo la caduta del Muro, proprio nel momento di trapasso prima dell’Unificazione delle due Germanie, quando il cambiamento sociale e culturale sta per compiersi e consolidarsi. Ciò si vede già a partire dalla scelta del giovane Johannes (Cedric Eich) di mettersi alla prova come fotografo, andando prima a studiare a Lipsia, e poi chissà trasferirsi a Ovest. Assieme a lui vive Maria (Marlene Burow), una splendida ragazza, che a differenza del fidanzato vive un’esistenza molto chiusa, marinando la scuola e dedicandosi alla lettura di libri, isolandosi e rifugiandosi nelle splendide aree circostanti la fattoria.
La vita scorre monotona nonostante l’arrivo dello zio Johannes dall’Ovest (in cui era fuggito anni prima) e l’emozione del padre e della nonna, molto sorpresi dal ritorno, dopo un lungo periodo di assenza, dell’uomo che si è annunciato alla famiglia con una lettera scritta poco prima del suo arrivo a casa.
L’unico personaggio inquieto è la madre di Maria, rimasta disoccupata per la chiusura della fabbrica in cui era operaia, inoltre è depressa a causa dell’abbandono del marito, che ha addirittura deciso di risposarsi con una donna molto più giovane di lui.
All’improvviso, irrompe nel film il personaggio di Henner (Felix Kramer), un bell’uomo quarantenne, alle prese con la sua vita contadina e solitaria.
Inizialmente la ragazza è sorpresa dall’attenzione erotica dell’uomo, poi qualcosa di misterioso scatta nella sua testa e si innamora perdutamente di lui, seguendolo nella sua tana solitaria per trascorrere momenti di assoluta passione.

Irgendwann werden wir uns alles erzählen, primo dei cinque film tedeschi in Concorso, parla di un amore dalle tinte erotiche molto forti, in cui la forza del destino sembra prevalere su qualsiasi  ragionevolezza, e in cui l’irrazionale domina il cuore destinandolo alla perdizione.
L’amore descritto da una regia molto attenta ai dettagli descrittivi e supportata da una fotografia che ricorda la pittura Biedermeier, è l’unico elemento che sembra valere per Maria, tutte le altre realtà che la circondano sono esclusivamente dei contenitori vuoti e inutili.
Il suo mondo e quello dell’affascinante Henner si concentra infatti nella sola volontà di potersi perdere l’uno nell’altro, chiudendo fuori dalla casa di lui, qualsiasi possibile interferenza. Nulla sembra scuotere realmente la ragazza, che vacilla solo per poco di fronte alla mole di bugie che dovrebbe raccontare alle famiglie, soprattutto a quella di Johannes che la tratta come una vera figlia.
Questa storia di Maria e Henner perde qualsiasi elemento di realismo, ed è sicuramente erede di quella letteratura russa e tedesca dell’800’ – non a caso uno dei riferimenti letterari per la ragazza è quello dei Fratelli Karamazov.
Si tratta di una tradizione letteraria, detentrice di un valore universale, di un grande spessore umano e di un’enorme ricchezza stilistica che ancora oggi riesce a costituire una fonte d’ispirazione per la contemporaneità , e per la quale i sentimenti e la passione rappresentavano il motivo per cui vivere o morire.
È quanto ci comunica la sceneggiatura, a tratti intrisa di punti di vista molto moderni, diremmo femministi, in cui la giovane protagonista sembra imporre una sua volontà e ascendente su un uomo molto più adulto di lei.
Si tratta, infatti, di una forza primigenia, che attrae e respinge un uomo apparentemente forte e virile, il quale poi invece si rivelerà essere violento in dei momenti di raptus erotico, a causa di una profonda fragilità derivante da un’infanzia difficile e da una madre vittima di abusi sessuali patiti da parte dei soldati russi alla fine del secondo conflitto mondiale.
Tale forza emerge soprattutto nell’uso, a volte ripetitivo dei corpi di due attori protagonisti molto bravi, rappresentando un elemento d’ispirazione importante per tutto il film. Essa ci aiuta a ricordare sempre di più la perdita del contatto con quanto realmente desideriamo mentre l’imposizione di cliché sociali ci rammenta di come le relazioni sentimentali siano sempre più lontane dal romanticismo tedesco o dalla profondità della scrittura russa di autori come di Tolstoj o Dostoevskij.
Henner e Maria, infatti, fanno parte di un immaginario letterario, per cui il vero amore e le passioni più distruttive vanno vissute fino alla morte. Eros e Tanatos, dunque, sono i protagonisti assoluti di un film, che pur dilungandosi  in alcuni tratti si in un descrittivismo del mood della coppia di amanti, arriva lì dove vuole arrivare: a scuotere lo spettatore più attento, colui che avrà sicuramente provato un’emozione simile a quella che potrebbe destare la lettura più assorta  appunto dei Fratelli Karamazov.


Irgendwann werden wir uns alles erzählen (Someday We’ll Tell Each Other EverythingRegia: Emily Atef; sceneggiatura: Emily Atef e Daniela Krien; fotografia: Armin Dierolf; montaggio: Anne Fabini; musica: Christoph M. Kaiser, Julian Maas;  interpreti: Marlene Burow (Maria), Felix Kramer (Henner), Cedric Eich (Johannes), Silke Bodenbender (Marianne), Florian Panzner (Siegfried), Jördis Triebel (Hannah), Christian Erdmann (Hartmut), Christine Schorn (Frieda), Axel Werner (Alfred), Victoria Mayer (Gisela); produzione: Rothfilm GmbH, MDR Mitteldeutscher Rundfunk, Arte; origine: Germania; durata: 129 minuti.

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