Khamyazeye bozorg (The Great Yawn of History) di Aliyar Rasti Festival di Berlino – Encounters) – Premio speciale della giuria

The Great Yawn of History è l’opera di esordio del giovane regista iraniano Aliyar Rasti, che pur non essendo un professionista, come abbiamo appreso dalla sua biografia, ha comunque potuto seguire dei seminari di alcuni fra i più importanti registi iraniani, Abbas Kiarostami e il vincitore di due Oscar Asghar Farhadi (Una separazione e Il cliente). E questa splendida allegoria della società iraniana riprende il filo, non ancora esaurito, di questa grande tradizione cinematografica fin dal suo incipit che ricorda appunto Il sapore della ciliegia di Kiarostami.

Ma tu credi in halal o in haram? A questa domanda tutti i giovani candidati che si sono presentati per il posto di lavoro offerto da Beitollah (Mohammad Aghebati) rispondono halal, ossia lecito, sebbene abbiano raccolto banconote da cento dollari dalla strada, e questo sia considerato haram, vietato dalla legge islamica. Ma in Iran la disoccupazione è alle stelle e a tutti farebbero comodo, non solo i soldi – se fossero stati veri, invece servivano ad attirare i candidati –, ma anche un lavoro. L’unico che, conseguentemente al suo gesto – quindi l’aver raccolto denaro non suo – risponde haram, è Shoja (Amirhossein Hosseini). E per questo viene scelto.

Beitollah, l’eccentrico e religioso datore di lavoro che non ama rispondere alle domande, è un solitario uomo di mezza età ossessionato da un sogno ricorrente: nel fondo di una grotta naturale, in qualche parte dell’Iran, è nascosta una cassa piena di monete d’oro. Spetta a lui di trovarla. Non ha dubbi che dopo una vita passata a lavorare duramente, ora, Dio gli abbia mandato questo sogno o premonizione per compensarlo delle sue fatiche. Un merito per la sua continua fede. Essendo religioso però, non può prendere qualcosa che non gli appartiene e che non ha guadagnato con il sudore del suo lavoro. Ha bisogno quindi di un assistente agnostico che esegua per lui il lavoro. E qui entra in capo appunto Shoja, un giovane che rifiuta il servizio militare obbligatorio e per questo oltre a non trovare lavoro, non può nemmeno raggiungere la sua famiglia emigrata in Germania.

Nella completa incertezza, i due partono insieme per questa bizzarra missione, abbandonano una città che ormai significa per entrambi solo solitudine – non c’è nessuno da cui congedarsi prima della partenza e quasi nulla da portare con sé – per un viaggio alla ricerca di questo improbabile tesoro.

The Great Yawn of History si rivela essere un meditativo road movie, che lascia ampio spazio e tempo per riflettere sull’inconsistenza della fede e della morale religiosa ma, al tempo stesso, è anche la storia di una strana amicizia fra due incompatibili compagni di viaggio alla ricerca di uno scopo nella vita.

In dialoghi e situazioni che talvolta ricordano il teatro dell’assurdo beckettiano, i protagonisti del film, si muovono in un paesaggio che, per quanto sia reale, è vuoto e spoglio di riferimenti palesi. Una storia quindi che potrebbe svolgersi ovunque e in nessun posto. Si celebra la vastità dello spazio dei paesaggi (comunque ovviamente iraniani), la loro immensità, la loro solitudine, senza però mai cadere nel semplicismo da cartolina postale.

Dal titolo potremmo dedurre che questo viaggio allegorico rappresenti il tentativo di trovare una via di fuga alla situazione d’impasse, un modo per sopravvivere mentalmente a questo lungo sonno culturale a cui sono costretti gli iraniani in questa fase storica. La tentazione di abbandonare i problemi reali, lasciarseli dietro le spalle per proiettarsi in un futuro sì incerto, che però offre altre e dorate aspettative, è sicuramente allettante e promettente. D’altra parte, potremmo anche interpretare il titolo in altro modo, e il film come una critica all’incapacità della religione di dare delle risposte concrete e la ricerca in quest’ultima di un utopico e troppo facile premio, una promessa che si rivela vacua e inconsistente proprio come uno sbadiglio.

The Great Yawn of History porta in discussione diversi problemi concreti della società del proprio paese, primo fra tutti la disoccupazione giovanile, ma anche quello dell’emigrazione dei giovani, sia dalla campagna alle città, sia la tendenza a traferirsi all’estero. Ma l’aspetto allegorico è sicuramente quello più interessante e che come notavamo si riallaccia perfettamente ad una tradizione di grande cinema. Con la speranza che qualche distributore italiano l’abbia notato durante il festival, lo consigliamo caldamente.


Titolo: Khamyazeye bozorg (The Great Yawn of History) –  Regia, sceneggiatura e musica:  Aliyar Rasti; fotografia: Soroush Alizadeh; montaggio: Mohammad Najarian;  interpreti: Mohammad Aghebati, Amirhossein Hosseini, Saber Abar, Mahin Sadri, Mehrdad Ziaie; produzione: Para-Doxa; origine: Iran, 2024; durata: 93 minuti.

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