Kobieta Z… (Woman of… ) di Małgorzata Szumowska e Michael Englert (Concorso)

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Kobieta Z…(Woman of…) di Małgorzata Szumowska e Michael Englert si apre su un’ immagine che già esprime il posizionamento di una differenza: un gruppo di bambine in bianco, che potrebbero essere delle piccole spose o più plausibilmente in attesa di ricevere la prima comunione, è segnato da una presenza mossa e insofferente che scompone e altera quella posa convenzionale da scatto cerimoniale: si tratta di un bambino che ruba il velo di uno dei quei candidi abiti, e fugge inseguito dall’orda delle ragazzine che ne reclamano il primato e l’esclusività. Quella corsa termina , o forse ricomincia, sulla cima scalata di un albero, simbolo di un’ identità che ha bisogno di radicarsi terrena e poi di aprirsi aerea.

Tra queste due forme, nell’attraversamento fisico e temporale di un prima e di un dopo, si dilata la vita di Andrej/Aniela sullo scenario politico e sociale di una Polonia che negli ultimi quarant’anni ha messo in atto una repressione sempre più brutale e coercitiva contro le persone omosessuali e, data la loro più evidente visibilità, quelle transgender in particolare. Ha dunque un significato che questa storia venga raccontata adesso da un film di produzione polacca, ma ci sono molte più prospettive estetiche e narrative non riducibili solo alla chiara posizione anti discriminatoria.

È un racconto di formazione che passa sopra i corpi e gli sguardi impazienti di Andrei e della sua prima e unica fidanzata e poi moglie;  l’accendersi e il trasformarsi del desiderio e del sentimento, dall’impeto carnale quasi indifferenziato della giovinezza alla graduale e matura presa di coscienza di un apparire che coincida con il proprio sentire.
Il progressivo staccarsi dal corpo procace della donna diventa per Andrei l’opportunità di riconoscere il femminile che gli/le appartiene a partire dall’immagine allo specchio che non  rimane tale, ma si fa tangibile prova di un processo in atto.

Le sequenze lunghe in cui si chiude in bagno e si prova le calze e le mutande della moglie, nel terrore punitivo di una trasgressione e nell’eccitante epifania di un nuovo sé, rendono efficacemente l’esperienza trasformativa del protagonista. E la figura di Andrei adulto e già in transizione che sta per gettarsi nel vuoto, o magari per spiccare il volo, è una preview anticipata in andirivieni di salti nel tempo, di una soglia di demarcazione, un punto di svolta, il nodo da sciogliere per una liberazione o per una condanna; un’ incertezza statica tra due polarità specularmente riflesse in un contesto culturale e sociale che costringe a soccombere o a simulare, ad essere clandestini oppure impostori.

Quando poi Andrei chiede di essere riconosciuta come Aniela le pressioni esterne delle istituzioni ne ammantano lo sguardo di una malinconica espressione da mèlo larmoyant ,dove il (rim)pianto è tutto introiettato e proiettato al di là di un intollerabile, opaco, monocorde presente.

È qui che, specie nella seconda parte, i registi eccedono forse nel rappresentare questa estensione dello scoramento di Aniela nella fissazione di un paesaggio dal tramonto all’alba o nel ridefinire i termini di un’ intimità attraverso riti e i giochi dell’amore giovane, ri-performato con l’ormai ex moglie (che ne diventa la prima testimone, complice, sostenitrice). Momenti di sospensione e di riflessione intersoggettiva e di apertura a una nuova dimensione affettiva per i quali si ha la paradossale percezione che siano troppo costruiti o pensati prima che ispirati.

Al contrario la prima parte, magari perché svincolata dalla necessità di mandare un segnale forte e chiaro contro l’attuale governo polacco che si è fatto addirittura promotore di una legge per creare delle zone con il diritto di discriminare “l’ideologia” LGBTQ+ , possiede un’ energica e dinamica essenzialità. Come se l’osservare ciò che è in potenza avesse un impatto più emozionante e autentico delle sua effettiva compiutezza (parliamo su un piano di racconto cinematografico, e non in una prospettiva esistenziale ovviamente) .

Va lodato il fatto di non aver escluso o rimosso l’intersezionale chiave di lettura di un’ emarginazione che riguarda anche la condizione di indigenza e precarietà della protagonista, in un’ Europa sempre più campo di diseguaglianze e iniquità.

Le abilità atletiche di Andrej che gli permettevano di lavorare sulle impalcature non hanno un corrispettivo nella diversa fisicità di Aliena, costringendola a sottomettersi su un gradino inferiore della scala delle vessazioni e delle ingiustizie dove fassbinderianamente c’ è sempre qualcuno (magari anche tuo fratello) che sta sopra di te e ti sfrutta. E il prezzo da pagare per voler essere se stessi, soprattutto in assenza di strumenti culturali ed economici, è la privazione di un posto, di un luogo, di un’ appartenenza (Aniela andrà a vivere in un pensionato di suore dal quale verrà cacciata una volta rivelata, durante una mortificante scena sotto la doccia, la sua “non conformità” ai dettami di un credo a sua immagine) .

A proposito di identità, anche in un altro ben film polacco, Ida di Pawel Pawiloski,con al centro il vibrante conflitto di una suora alla scoperta delle proprie pulsioni e dei propri desideri,si risolveva in una scena di novizie sotto la doccia il dilemma di un continuo cercare altro e altrove .

L’essere fuori luogo di Aniela  rimane così  al di là delle prigioni reali e mentali imposte da una comunità repressive.
È un disagio che scioglie le sue contraddizioni nel moto di una rivendicazione alla felicità, ma che rimane intento a contare gli anni, i giorni, le ore delle prossimo anno con 13 lune, quando la tristezza cosmica potrebbe disgregarsi tra le carni macellate nel mattatoio allestito un patriarcale mondo di…


Kobieta Z… (Woman of…)  – Regia e sceneggiatura: Małgorzata Szumowska, Michał Englert; fotografia: Michał Englert; montaggio: Jarosław Kamiński; musica: Jimek; interpreti: Małgorzata Hajewska-Krzysztofik, Joanna Kulig, Bogumila Bajor, Mateusz Wieclawek; produzione:NOMAD Films, Common Ground Pictures, Polish Film Institute; origine: Polonia, 2023; durata: 132 minuti; distribuzione: I Wonder.

 

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