La scuola cattolica di Stefano Mordini

  • Voto

Dopo aver suggellato la chiusura della scorsa edizione, il regista Stefano Mordini rilancia in grande stile e consegna a Venezia 78 una pellicola dai sapori davvero eccentrici: La scuola cattolica non è un film, bensì uno strano flusso di coscienza in cui prologo, intreccio ed epilogo perdono il loro significato. Tratta dall’omologo (e lunghissimo) romanzo di Edoardo Albinati, la pellicola intenderebbe tracciare i contorni di un’intera generazione, sezionandone la psiche con la goffaggine di un vecchio medico ottocentesco intento ad auscultare i poveri pazienti a colpi di bisturi e cavi elettrici. Quest’immagine a dir poco bizzarra è però l’unica in grado di tradurre lo stato d’animo dello sparuto auditorio, disorientato da due ore di malsana catechesi, torture e strampalate citazioni bibliche. Un vero peccato, considerate le nobili mete perseguite dall’impresa – ovvero, quello di tracciare le fondamenta di un’Italia sotterranea in cui fascismo, violenza e censura sono tanto interiorizzati quanto normalizzati.

Protagonista assoluta è Roma, in particolare la Roma altoborghese di metà anni ’70, morbosamente compresa nel proprio rassicurante e mellifluo cattolicesimo da farisei. Andrea Ghira (Giulio Pranno), Angelo Izzo (Luca Vergoni) e Giovanni “Gianni” Guido (Francesco Cavallo) sono tre ex studenti di un prestigioso istituto privato maschile. Ancora oggi, i loro nomi godono di una fama a dir poco nefasta, legata ad uno dei più agghiaccianti crimini commessi nell’epoca del Terrore. Il cosiddetto massacro del Circeo funse da detonatore per le buone famiglie rispettabili nelle quali brutalità, efferatezza e frustrazione erano all’ordine del giorno, sebbene s’inscrivessero all’interno di una sfera privata a molti inaccessibile.

Stefano Mordini tenta di scavalcare la soglia e ci getta nella gabbia dei leoni, fra prelati corrotti e allucinati pedagoghi, fra padri assenti (come quello di Gianni Guido, qui interpretato da Riccardo Scamarcio), fratelli repressi e madri psicolabili. Forse, a tal proposito, l’unico ritratto che possa dirsi almeno in parte riuscito è quello di Ilaria Arbus (Valeria Golino), nel cui sguardo tristemente gioioso si cela un disperato tentativo di rimozione. Nel bel mezzo della bolgia infernale vorticano i ragazzi, o meglio, i futuri aguzzini del domani. La cinepresa, infatti, non ci mostra soltanto gli effettivi carcerieri, ma anche i potenziali mostri generatisi dalla sacra triade “educazione, pentimento, continenza”. Fra dannati e dannati non ci sono distinzioni, è vero, ma il regista tende a fare di tutta l’erba un fascio: i personaggi sono interscambiabili, così come ridondante è lo sfrontato sogghigno ch’essi esibiscono e nel quale si vorrebbero riconoscere le tracce del peccato originale italiano. Le vicende si sovrappongono senza seguire nessun filo logico, i molteplici drammi domestici si susseguono con una scorrevolezza a tratti irreale e le idiosincrasie di ognuno finiscono per assumere toni grotteschi.

La narrazione singhiozzante e discontinua ci sbalza da un mese all’altro, da un episodio all’altro, intersecando fra loro fili che, per esser meglio compresi, dovrebbero invece restare separati. Il regista gira intorno al Circeo come una tigre si acquatta in attesa della sua preda. L’abisso si apre all’improvviso e sembra non voglia più richiudersi: così, veniamo catapultati in un girone dantesco le cui atrocità ci risultano difficilmente tollerabili, forse proprio a causa della poca attenzione che l’autore concede al dettaglio. Mordini non si preoccupa di svelarci le sue intenzioni e si mantiene su un fastidioso limbo fra il detto, il non detto e il vorrei dirlo, ma non so come fare. Le disquisizioni scaramantico-teologiche sul ruolo del Cristo in questo mondo e sulla natura più recondita del male dovrebbero fungere da glossa al successivo rapimento delle due ragazze, ma la verità è un’altra – e l’autore lo sa bene.

Lo spaventoso teatro degli orrori messo in scena dai giovani educandi, inoltre, viene ricostruito con una minuzia la cui puntualità assume sfumature quasi voyeuristiche. Gli assassini, prigionieri di una crescente spirale d’odio e cinismo, si comportano come attori che giocano agli assassini: ennesima dimostrazione del fatto che l’obiettivo non sappia in quale idioma esprimersi, decidendo infine di optare per una sorta di sconclusionato esperanto. In un tale miscuglio linguistico non intravediamo che l’ombra di un racconto inverosimile: i personaggi, abbandonati su un palcoscenico desolato, entrano ed escono timidamente dallo schermo, comunicando con la sala soltanto per mezzo di alcuni aneddoti disturbanti. Pare che nessuno si sia preso il disturbo di trasformare la bozza in un dipinto. Al termine del lungometraggio, abbiamo la vaga impressione d’esserci appena risvegliati da un brutto sogno: eppure, l’incomunicabilità dovrebbe regnare sovrana fra i protagonisti, non fra pubblico e regista.

Nelle sale dal 7 ottobre


Cast & Credits

La scuola cattolica – Regia: Stefano Mordini; sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Luca Infascelli, Stefano Mordini; fotografia: Luigi Martinucci; montaggio: Massimo Fiocchi, Michelangelo Garrone; interpreti: Benedetta Porcaroli (Donatella), Giulio Pranno (Andrea Ghira), Emanuele Maria Di Stefano (Edoardo Albinati), Giulio Fochetti (Arbus), Leonardo Ragazzini (Salvatore), Alessandro Cantalini (Picchiatello Martirolo), Andrea Lintozzi (Gioacchino Rummo), Guido Quaglione (Stefano Jervi), Federica Torchetti (Rosaria), Angelica Elli (Leda Arbus), Gianluca Guidi (Ludovico Arbus), Luca Vergoni (Angelo Izzo), Corrado Invernizzi (Preside), Francesco Cavallo (Gianni Guido), Fabrizio Gifuni (Golgota), Valentina Cervi (Eleonora Rummo), Valeria Golino (Ilaria Arbus), Riccardo Scamarcio (Raffaele Guido), Jasmine Trinca (Coralla Martirolo); produzione: Warner Bros. Entertainment Italia, Picomedia; origine: Italia 2021; durata: 106’; distribuzione: Warner Bros. Pictures.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *