Le mie poesie non cambieranno il mondo di Annalena Benini e Francesco Piccolo

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Non so se qualcuno li abbia già contati, mappati, ma fra i documentari biografici incentrati su personaggi famosi, tecnicamente fra i biopic, esiste una sotto-categoria che verrebbe di chiamare biopic testamentario. Si racconta la biografia di una persona celebre nella consapevolezza (forse, almeno in parte: a causa del fatto) che essa abbia poco tempo a disposizione, in altre parole sia malata e fra non molto morirà. Per chi non avesse compreso il genere di Le mie poesie non cambieranno il mondo (passato nelle Notti veneziane e ora in sala) è il film stesso a spiegarcelo: pochi minuti prima della fine, in occasione dell’unica sequenza che NON si svolge fra le mura della casa di Campo de’ Fiori  i due registi e l’operatore compiono lentamente i pochi passi che separano la casa di Patrizia Cavalli fino al cinema Farnese. Vediamo appena appena il cartellone di Submergence ma sentiamo dalla regista menzionare il nome di Wim Wenders, autore di quello che forse resta il più importante film della categoria summenzionata ovvero Nick’s Movie, dedicato agli ultimi mesi di vista del grande Nicholas Ray. Correva l’anno 1980.

Diciamo fin da subito che il film di Annalena Benini (neo direttrice del Salone del Libro di Torino) e Francesco Piccolo (noto scrittore, frequente collaboratore con il cinema, sceneggiatore di film di Virzì, Placido, Soldini, Moretti, Archibugi, Luchetti, Bellocchio etc,) ma mai regista non lega nemmeno le scarpe al film del regista tedesco. Si tratta di fatto di una lunga intervista alla poetessa di cui vengono ripercorse alcune tappe, peraltro notissime: le origini umbre, l’ingresso nell’ambiente intellettuale e artistico romano, la mallevadoria di Elsa Morante che -anche questo è noto – le fece la celebre domanda: «Ma tu qua a Roma che ci fai?», ciò che indusse Patrizia dapprima all’ardita dichiarazione:  «Scrivo poesie», salvo rendersi conto che quelle scritte fino ad allora erano scadenti e mai sarebbero piaciute a Morante dandosi dunque da fare per scrivere, solo ex post rispetto alla dichiarazione, poesie in grado di superare il vaglio dell’esigente scrittrice. Il tutto, attenzione, non solo e non tanto per entrare nell’élite intellettuale romana, ma prevalentemente per essere accolta nell’intima cerchia della Morante stessa che alla fine ne sancì il valore, dichiarandola «una poeta». Poi si parla molto di amore, di amori (infelici) – che è poi il tema principale delle poesie di Cavalli – dando qualche spazio a una storica dell’arte americana, compagna e poi amica di Patrizia (unica altra persona intervistata), si parla molto com’è normale di poesia, con il ricorso a molte interviste preesistenti, a molti reading risalenti a periodi vicini, lontani o lontanissimi. Si parla molto di malattia, com’è ovvio.

Ogni tanto vediamo anche gli intervistatori/registi, nell’insieme lo stile è di un tradizionalismo a tratti irritante, a poco valgono i non molti elementi di straniamento che ci ricordano che stiamo vedendo un film nel suo farsi. Forse più che altre forme di documentario (biopic), quello testamentario finisce per indurre a un atteggiamento malinconicamente (ma anche ironicamente, per carità) omaggiante. Ironico anche perché Patrizia Cavalli non si è mai presa troppo sul serio – e lo sa chi conosca bene le sue poesie e le sue canzoni. Poesie, mi sia consentito dirlo, che al termine della visione del film non perdono, per carità, valore, ma che, recitate così di seguito, rivelano appieno il loro carattere pop, leggermente corrivo.

In sala da 14 settembre


Le mie poesie non cambieranno il mondo; regia, sceneggiatura: Annalena Benini e Francesco Piccolo; fotografia: Matteo Vieille Rivara; montaggio: Desidera Rayner;  musica:  Diana Tejera; produzione: Fandango, Rai Documentari; origine: Italia 2023; durata: 77 minuti; distribuzione: Fandango.

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