Le mura di Bergamo di Stefano Savona

  • Voto

Il cinema di Stefano Savona è un cinema che narra conflitti. Sia nei suoi lavori più noti (Primavera in Kurdistan, Piombo fuso, La strada dei Samouni), sia anche nei suoi lavori “minori”, Savona si è sempre concentrato su gruppi di persone che si trovano a fronteggiare un nemico molto più grande di loro: i turchi e gli iracheni nel conflitto con i curdi; gli israeliani nel conflitto con i palestinesi. Un nemico grande e potente, ma soprattutto un nemico invisibile che non viene quasi mai messo in scena, del quale vediamo solo le conseguenze del suo potere e delle sue nefaste azioni.

Contro questo potere ci sono gruppi di individui che cercano di combattere una battaglia impari e disperata, e che il più delle volte, almeno in apparenza, è persa in partenza. Ma questi individui, di fronte alla loro battaglia, non possono tirarsi indietro. Non è questione di coraggio o di paura, è che per loro non è proprio possibile girare le spalle. Sono semplicemente costretti a combattere. Per loro non c’è alternativa.
Una battaglia analoga, una guerra analoga la abbiamo combattuta anche noi. Ed il nostro nemico era il Covid. Anche di lui non potevamo vederne il corpo, ma potevamo ben avvertire le conseguenze della sua esistenza. Avevamo i medici e gli infermieri, ossia le persone che combattevano in prima linea, avevamo gli anziani, ossia le vittime designate, avevamo tutti noi sia la disperazione di non sapere come reagire sia la necessità di reagire.
C’era la disperazione, il dolore di dover prendere delle decisioni che avrebbero comportato la morte di altre persone, di nostri compagni.
C’era l’impreparazione, il non sapere che fare ma sapere solo che qualcosa si doveva fare. La paura di sbagliare, il bisogno di affidarsi agli altri.
E mentre nella realtà fuori dal film si raccontava di conflitti tra virologhi e politici, nella realtà raccontata da Le mura di Bergamo, tra gli uomini e le donne non c’era conflitto, ma il semplice rendersi conto che la situazione che stavamo vivendo era una situazione comune a tutti.
Per girare questa storia Stefano Savona, accompagnato da alcuni giovanissimi documentaristi già suoi studenti al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo (Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante), è andato laddove il conflitto con il nemico sembrava più violento. A Bergamo, perché Bergamo nella narrazione di quei giorni è stata la città che meglio ha impersonificato la ferocia del virus.
Le migliaia di morti (alcune fonti parlano di 25 decessi al giorno), le sirene che si inseguivano, i camion militari carichi di bare, le strade deserte che si contrapponevano agli ospedali strapieni. Ed i medici e gli infermieri disposti a mettere in gioco la propria vita, e poi i pazienti, le vittime, sole ed isolate, intubati in fantascientifici cilindri di plastica, isolati e soli, incapaci di parlare, di scrivere, di avere conforto dai propri cari.
Perché il virus non solo uccideva, ma distruggeva la stessa essenza del nostro essere umani, costringendoci alla solitudine. Impedire la socialità equivale a impedire la nostra stessa essenza di esseri umani che da sempre vivono solo in comunità.

E la seconda parte del film si concentra proprio su come la battaglia si può vincere. Perché certo, le medicine, i vaccini hanno permesso di debellare e azzerare i contagi, di togliere forza al nemico. Ma la reazione che viene qui raccontata, e che ci ha fatto tornare ad essere persone, mette in primo piano soprattutto la ripresa della parola, della socialità, del mettersi tutti uniti, in circolo, a raccontare la propria esperienza, a condividere il dolore, ad uccidere gli effetti del virus che si annidavano non solamente nei nostri polmoni o nei nostri cuori, ma anche e soprattutto nelle nostre teste.

Le Mura di Bergamo è il racconto di una battaglia che si può vincere. La lotta disperata di una umanità e di come, al prezzo di perdite enormi, è riuscita a sconfiggere il nemico. È un film importante non solamente perché riporta in vita un periodo che, anche se recente, sembra lontanissimo nel tempo, ma anche perché insegna una strategia per affrontare le battaglie e vincerle.
E la strategia è essere insieme, agire come un corpo unico che combatte per la difesa delle cose essenziali, quello che dà un senso all’essere vivi, a vivere questa vita.
Un film atroce ma che riempie di speranze, e che fa uscire dal cinema con il dolore della memoria, ma anche con la voglia di riprendere in mano le fila dei discorsi che da molto tempo, da ben prima della pandemia, ci hanno allontanato dall’agire come comunità, e dal pensare che solo da soli possiamo salvaguardare meglio i nostri singoli bisogni.

Presentato al Festival di Berlino in anteprima (Sezione “Encounters”)
In sala dal 23 marzo 2023


Le Mura di Bergamo Regia: Stefano Savona; in cooperazione con: Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante; sceneggiatura e fotografia: Stefano Savona; montaggio: Francesca Sofia Allegra; suono: Jean Mallet; musica: Giulia Tagliavia; produttori: Andrea Iervolino, Monika Bacardi, Ferdinando Dell’Omo, Danielle Maloni; produzione: Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema; origine: Italia, 2022; durata: 137’; distribuzione: Fandango.

 

 

1 thought on “Le mura di Bergamo di Stefano Savona

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *