Maydegol di Sarvnaz Alambeigi (Festival di Berlino – Generation 14plus)

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La giovane Razieh è in continuo movimento. Ha l’irrequietezza dei suoi quasi diciannove anni. Ma non è solo questo. La ragazza, pur non essendo una ribelle, è in costante tensione sia con la famiglia, sia con la società in cui si ritrova a vivere, e ha buona ragione di esserlo, perché entrambe le rubano non solo i sogni e le speranze di gioventù, ma anche il futuro. Razieh, il cui il nome d’origine è Maydegol, che significa in dari Broken Flower, ossia fiore rotto, è una ragazzina afgana rifugiata con la sua famiglia in Iran, con il sogno nel cassetto di diventare una professionista di pugilato muay thai femminile e partecipare ai campionati mondiali. Per realizzare il suo sogno non solo si allena regolarmente in palestra con altre ragazze della sua età, e con le quali condivide la sua situazione di rifugiata, ma lavora duro, sia in una fabbrica dove raccoglie funghi champignon, sia in campagna, dove aiuta nella raccolta delle mele. I suoi risparmi le servono per procurarsi dei documenti, che al momento non ha, per potersene andare dall’Iran e realizzare le sue aspirazioni.

Non sono i pugni in faccia della boxe che le fanno paura, quelli sa come pararli, e nemmeno i talebani (per sua fortuna non ne ha mai incontrato uno) la spaventano più di tanto, ma la violenza che vive in casa, che vede subire dalla madre e che lei stessa subisce, quella sì, la spaventa di più. L’aggressività del padre non segue le regole del ring: è la rabbia che gli è rimasta dopo aver partecipato alla guerra in Afganistan, e ancora ora tutta la famiglia ne subisce le conseguenze. Quando è la madre a venir picchiata è Razieh a portarsi dietro i fratelli piccoli tutto il giorno. E all’imbrunire della sera, quando dopo il lavoro torna a piedi verso casa, pensando a quello che l’aspetta, sembra condividere la disillusione della vita con i cani randagi che incrocia ed illumina grazie alla fioca luce della torcia elettrica.

Con il suo stato di rifugiata afgana in Iran, Razieh vive in pratica in una prigione a cielo aperto. Senza documenti d’identità ufficiali – e i talebani che non ne rilasciano – non potrà nemmeno con la maggiore età lasciare il paese, e neanche entrare nella nazionale iraniana. Al massimo potrà concorrere in quella dei rifugiati. Così, non le resta altro che sognare ad occhi aperti, oppure smaltire la rabbia accumulata tirando pietre al vento: più profonda la tristezza, più pesante la pietra da lanciare.

Insieme alle altre giovani ragazze rifugiate si discute e si cercano possibilità di fuga per il prossimo futuro. Ma spesso la scorciatoia più facile ed accessibile a tutte resta legarsi in un matrimonio posticcio, che permetta di entrare in possesso di un passaporto iraniano, per poi espatriare in America o in Europa.

Premetto che quando ho visto Maydegol ero convinta fosse un film di finzione e non un documentario. Ho dovuto con grande sorpresa ricredermi. Il montaggio infatti non segue la regola della temporalità come nei documentari classici, – anche se probabilmente le riprese sono state fatte nel corso di un anno, – ma è ispirato da un intento artistico che rende il film particolarmente originale e interessante anche dal punto di vista della struttura narrativa.


 Maydegol – Regia e sceneggiatura: Sarvnaz Alambeigi; fotografia: Mehdi Azadi; montaggio: Hamid Najafirad; interpreti: Maydegol, Mohadesseh, Farzaneh; produzione: Rabison Art, Noori Pictures; origine: Iran,/Germania/ Francia, 2024; durata: 73 minuti.

 

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