MedFilm Festival: Dancing on the Edge of a Volcano di Cyril Aris (Premio al miglior film)

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Con il tempo Beirut è diventata rovine e le rovine sono belle. Ma non mi adatterò mai.

Si dice “dalla padella alla brace” quando si va di male in peggio, si pensi quanto possa essere vero quando a una pandemia si aggiunge un’esplosione chimica capace di distruggere una città, quella che una volta era la Parigi del Mediterraneo: Beirut. Dancing on the Edge of a Volcano racconta cosa voglia dire muoversi intorno alla distruzione, anzi, cosa significhi farci un film: un po’ backstage de Costa Brava, Lebanon (2021) , un po’ documentario, un po’ collage di pellicole, con una narrazione che si fa spazio tra mille e difficoltà, con una domanda a pendere:

Dovremmo stare o abbandonare il Libano?

Mounia Akl vuole fare il suo film, costi quel che costi. Anche con una pandemia in atto, anche con un’esplosione chimica appena avvenuta che ha rivoltato Beirut: cimiteri di auto in autostrada, navi rovesciate, grattacieli abbattuti e vetri ovunque. Tanto che il suo compagno se lo chiede, annaffiatoio in mano:

Dici che ha senso innaffiare i pomodori e il vetro?

Il film in potenza è Costa Brava, Lebanon, nella quale si racconta di una famiglia che fugge in campagna da una Beirut distopica, invasa dalla spazzatura, per poi ritrovarsi una discarica in costruzione dietro casa. Le difficoltà per registrarlo sono innumerevoli: attori bloccati in aeroporto, casi covid, budget terminato, soldi svalutati in banca, mancanza di energia elettrica per alimentare i computer in fase di montaggio. Il vantaggio amaro solo uno: il paesaggio distopico è già qua, non c’è bisogno di effetti speciali:

Chi ha messo una bomba semi-nucleare nel porto?

Il regista Cyril Aris sfrutta il making of di un film per fare un documentario su cosa voglia dire fare cinema con il sottofondo delle ambulanze, senza finestre che separino tra loro gli uffici. I vetri dopotutto se ne sono andati tutti in frantumi, dispersi qua e là come i superstiti dell’esplosione. Alle riprese di una Beirut devastata s’intreccia la narrazione della gestione del film, con la regista, i produttori, gli attori, gli assistenti, le maestranze come personaggi, in un gioco metacinematrografico reale e quindi interessante. Il discorso non si ferma però soltanto agli agenti esterni, bombe e pandemie, bensì pone come oggetto di studio il Libano stesso:

THE BLOOD IS IN YOUR HAND

Recita uno striscione in corteo di protesta per le vie della capitale. Viene così denunciata una mancanza in particolare – chi immagazzinò tale quantità di sostanze nel porto – metonimica di una corruzione che ha invaso tutti gli aspetti della società. Di una società, quella libanese, estremamente complessa ed eterogenea (56% cristiani, 44% musulmani), che per secoli è stato un florido porto del Mediterraneo e ora un centro finanziario di grande importanza, e nel tempo ha coltivato una importante vocazione alle arti, per esempio quella cinematografica. Ma che ora è in uno stallo politico e nel Medioriente è da sempre a contatto con zone calde che possono scoraggiare i turisti oggi come allora e quindi:

Non voglio che gli Occidentali pensino che stiamo danzano sul vulcano.

Dancing on the Edge of a Volcano è un ottimo documentario. Capace di non essere semplice registrazione di eventi – che sono a loro volta la registrazione di un film – e capace di creare una buona narrazione in cui il viaggio dell’eroe incontra mille difficoltà presenti e prova a superarle in ogni modo. Ciò che però eccelle è lo studio dei giovani libanesi, coloro che ne hanno di motivi per andarsene ed eppure rimangono: tra chi fa film per dimenticarsi di vivere in Libano e chi fa film per rivendicare la sua appartenenza a un Libano altro. E chi invece forse decide di andarsene. Per sempre?

Noi faremo questo fottuto film

Anche Premio del pubblico al “Festival dei Popoli” 


Dancing on the Edge of a Volcanoregia e sceneggiatura: Cyril Aris; fotografia: Joe Saade; montaggio: Nadia Ben Rachid, Cyril Aris; musica: Anthony Sahyoun; interpreti: Mounia Akl, Saleh Bakri, Nadia Chancel, Abla Khoury; produzione: Myriam Sassine, Katharina Weser per Reynard Films, Abbout Productions; origine: Libano/Germania, 2023; durata: 87’.

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