Piggy di Carlota Pereda

  • Voto

Piggy (in spagnolo Cerdita) è il nomignolo affibbiato a Sara, figlia di un macellaio, ed oggetto di derisione da parte delle coetanee a causa di questa infelice combinazione di circostanze (è sovrappeso e lavora in una macelleria). La derisione si trasforma ben presto in feroce violenza e la ragazza rischia addirittura di venire affogata a causa di un sadico scherzo, dopodiché le amiche le portano via i vestiti e la poveretta è costretta a tornare a casa seminuda, in una umiliante e struggente via crucis dove viene insultata da altri ragazzi per strada. Del resto, la famiglia di Sara è effettivamente ottusa e meschina, il padre è un uomo mite ma di indole codarda, e la madre (un’ottima Carmen Machi) una sadica che umilia la figlia con la scusa di educarla, temprarla e proteggerla. 

L’apertura del film della regista Carlota Pereda mette in luce sin da subito uno dei punti forti: l’estremo gusto fotografico con cui viene rappresentato l’interno della macelleria, con suggestive pareti rosa pastello, alternate ai dettagli di carne macellata ed al primo piano della protagonista, stabilisce un tono visivo efficace ed ammaliante, quando si passa agli esterni poi, il film ricorda da vicino Lo sconosciuto del Lago (2013), di Alain Guiraudie, nella maniera in cui la luce si posa sui corpi e sui volti. 

La componente grottesca insita negli amici di Sara è evidente. Il bullismo, rappresentato senza sfumature nella maniera più brutale possibile, si mostra come emanazione di malignità pura. In ciò il film ricorda Carrie – Lo sguardo di Satana, il capolavoro di Brian De Palma, ed è proprio a questo riguardo che risulta pertinente un’analogia tra le due pellicole (seguirà un piccolo spoiler). Nel finale di Carrie la violenza si fa catarsi liberatoria, incontenibile, cieca ed allucinatoria, Piggy rifiuta il coraggio di un gesto così estremo, e non vuole affondare il colpo, condannando la protagonista ad un limbo di vigliaccheria ammantata da un atteggiamento conforme al bene, che lascia perplessi e delusi. Lo strumento di vendetta, che in Carrie era la telecinesi, qui è incarnato da un killer sociopatico, che si “innamora” di Sara, e si offre di divenire il suo strumento di vendetta. Da dove viene, e cosa lo muove non viene chiarito a sufficienza, ma tra i due si instaura un rapporto ambiguo, che doveva essere esplorato maggiormente, perché rappresenta indubbiamente l’elemento più vivo e fertile dell’intera vicenda, ed invece viene lasciato avvizzire mentre nella seconda parte ci si concentra su un susseguirsi di episodi truculenti sul solco di pellicole come The Texas Chainsaw Massacre, e un finale che cerca la nobilitazione nell’eroismo in un personaggio che avrebbe potuto essere nobilitato solo e soltanto attraverso un gesto antieroico. La regista, durante un’intervista, afferma in prima battuta di voler lasciare libera interpretazione al pubblico, ma poco dopo invece rivela un certo paternalismo quando ammette che, nella sua visione, la storia d’amore tra i due non era concepibile perché “è chiaro che lui non va bene per lei, è un pazzo!”. Fa seguire poi una serie di riflessioni sulla politicizzazione del corpo femminile che, onestamente, vediamo trasposte nella pellicola con una voce confusa e debole. 

L’omonimo cortometraggio Piggy, realizzato tre anni prima dalla stessa autrice, e con la stessa brava attrice protagonista (Laura Galan), conteneva un messaggio finale ed una scelta morale che differiscono enormemente dalla pellicola. La maniera in cui il film riprende il finale aperto del corto e ne tramuta il senso toglie alla vicenda gran parte del suo valore e disinnesca una componente narrativo-simbolica ben chiara in origine, rendendola molto più opaca e pavida. Se così doveva essere, la regista avrebbe dovuto trattare il personaggio di Sara con maggiore onestà intellettuale, dicendo, e dicendoci, che era una sconfitta, ed una vittima, in origine, e che rimane ancora una sconfitta, ma stavolta per sua scelta, dato che preferisce salvare i suoi carnefici. E lo fa perché, sotto sotto, ancora spera di venire accettata da loro, proprio da coloro che la hanno umiliata oltre ogni limite. Non vi è traccia di questa operazione nel film, ed è praticamente impossibile dare questa interpretazione in base a quello che ci viene mostrato. 

La pellicola conserva un certo fascino nelle atmosfere, negli ambienti resi soffocanti dalla fotografia (Rita Noriega), asfittica, dai colori caldi e avvolgenti. Girato in esterni intorno al villaggio di Villanueva de la Vera e con un aspect ratio di 1.375:1 (il cosiddetto academy ratio, tornato prepotentemente di “moda”, equivale grossomodo al 4:3 televisivo) che permette una maggiore attenzione al personaggio rispetto all’ambiente, ne consegue, in questo caso, un’amplificazione al senso di claustrofobia che viene trasmesso. Può vantare una grande cura nel sound design, molto immersivo e costruito in maniera maniacale, ed un ottimo ritmo complessivo. Grazie a queste componenti il film conserva una qualità visiva e ritmica sicuramente importante. Non ci sentiamo quindi, nonostante le perplessità narrative, di sconsigliarne la visione.  

In sala dal 20 luglio 2023


Piggy (Cerdita)- Regia e sceneggiatura: Carlota Pereda; fotografia: Rita Noriega; montaggio: David Pelegrìn; musiche: Olivier Arson; interpreti: Laura Galan, Richard Holmes, Carmen Machi, Irene Ferreiro, Camille Aguilar, Josè Pastor, Fernando Delgado-Hierro; produzione: Morena Films, Backup Studio, Cerdita AIE, La Banque Postale, Indéfilms;  origine: Spagna/Francia, 2022; durata: 100 minuti; distribuzione: I Wonder.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *